Sono passati quattro anni dal 24 dicembre 2019, quando, all’indomani dell’operazione Rinascita-Scott, migliaia di persone hanno deciso di scendere in piazza per manifestare la loro gratitudine alle donne ed agli uomini delle forze dell’ordine e della magistratura. Una giornata storica per il territorio calabrese e non solo, il cui ricordo, ancora, emoziona e tratteggia, in maniera emblematica, il quadro di una popolazione che alza la testa e che, a schiena dritta, rivendica il diritto di abitare e vivere i propri luoghi senza paura e vincendo la rassegnazione.
I passi percorsi lungo la marcia del 24 dicembre hanno permesso di tracciare sentieri nuovi e di costruire sinergie ed alleanze educative, volano di speranza e cambiamento.
Nel frattempo, il processo scaturito da quell’operazione si è concluso in primo grado con un verdetto che conferma quasi interamente l’impianto accusatorio della DDA di Catanzaro e che permette di ricostruire, anche giuridicamente non solo, la visione unitaria della ‘ndrangheta, ma anche l’elevato numero di ‘ndrine presenti e attive in un contesto non molto ampio territorialmente, quale quello vibonese. Una sentenza che colpisce, con pesanti condanne, l’ala più violenta e crudele della criminalità organizzata che, per decenni, ha tenuto sotto scacco e condizionato pesantemente la vita sociale, economica e politica del territorio. Una pronuncia che dimostra il venir meno del senso di impunità che per troppo tempo ha prevalso, generando timore e assoggettamento.
Un giudizio che ha, inoltre, rafforzato il legame interistituzionale tra cittadini ed istituzioni, fondamentale per il contrasto, anche culturale, alla ‘ndrangheta. Da un’attenta e approfondita analisi di questi processi giudiziari e sociali attualmente in atto, è possibile individuare alcune dinamiche dirompenti che possono rappresentare un punto di svolta sostanziale nell’affermazione della forza dello Stato contro la violenza delle mafie.
Anzitutto, la reazione della gente, una “società civile” sempre più stanca di subire angherie e soprusi, di assistere al proliferare di un potere violento e abusante che è stato la causa di sottosviluppo, negazione dei più basilari diritti, povertà ed emigrazione. Popolazione che trasforma questa rabbia in partecipazione, mettendoci la faccia, senza paura, dimostrando, contro ogni stereotipo, che i calabresi non vogliono e non possono rassegnarsi. Una consapevolezza nuova, più radicata e forte che vince l’apatia e l’indifferenza. Inoltre, sono sempre di più gli appartenenti alle ‘ndrine che decidono di collaborare con la giustizia. Fenomeno questo, assolutamente nuovo nel panorama criminale vibonese. Esponenti di spicco della ‘ndrangheta nostrana che, fornendo elementi utili per le indagini, ci restituiscono pezzi di storia importante del territorio disvelandone trame e intrecci, connivenze e deferenze. Collaborazioni che dimostrano il venir meno di quell’immagine ermetica e granitica propria della ‘ndrangheta, sgretolando quel muro di omertà, da sempre base del loro potere. Elemento, questo, avvalorato anche dalle diverse testimonianze rese nei vari procedimenti da donne, fino a ieri sottomesse ad un potere patriarcale, oggi, protagoniste di un nuovo fronte di lotta alla ‘ndrangheta.
E ancora, è il segnale che proviene dall’aumento delle denunce frutto di una recuperata fiducia nei confronti dello Stato. Non siamo più la gente che avvolge le sopraffazioni nei silenzi, che abdica al ruolo di una cittadinanza attiva e responsabile, che dimentica di avere diritti. Ci sono nuove forme di resistenza grazie ad uno Stato che oggi, a Vibo Valentia, ha recuperato la propria centralità, almeno dal punto di vista repressivo, ed appare forte e credibile perché credibili sono le persone, uomini e donne, che lo rappresentano. Un’azione efficace e concreta che deve vedere in prima linea anche la politica nel garantire quei diritti fondamentali la cui negazione ha rappresentato, da sempre, humus fertile per il proliferare delle mafie e della mafiosità.
Tutti aspetti strategici che, nel loro insieme, devono rappresentare un presupposto imprescindibile per una contronarrazione della nostra terra, funzionale a dare forza e coraggio a chi ancora è vittima del giogo mafioso. La strada è quella giusta, ed è stata tracciata, spetta a ciascuno di noi percorrerla con passi sicuri e responsabili.
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