Nel “sistema” sarebbero stati coinvolti un po’ tutti gli attori in campo: la Regione, i Comuni e gli imprenditori dei rifiuti. Ovviamente le eventuali responsabilità penali di ognuno verranno vagliate nelle competenti sedi giudiziarie, ma dall’inchiesta condotta dalla Procura di Vibo sul “compost” che dall’impianto Eco Call di Vazzano sarebbe finito sui terreni agricoli inquinandoli – in alcuni casi «irrimediabilmente» secondo gli inquirenti – emerge come lo smaltimento di quei materiali sia passato per una serie di interlocuzioni tra i titolari dell’azienda coinvolta e diversi soggetti istituzionali. Qualcuno certamente sapeva. E conveniva un po’ a tutti. Molto meno, evidentemente, all’ultimo anello della catena, cioè a chi ha compromesso i suoi terreni stendendoci sopra quel fertilizzante che in realtà, secondo i rilievi dei carabinieri del Norm di Serra San Bruno e del Nipaaf di Mongiana, era contaminato da plastica, vetro e metalli pesanti come il cromo esavalente. Il sistema era piuttosto semplice: c’era un accordo tra la Eco Call e diversi Comuni in base al quale chi conferiva l’organico a Vazzano – magari “sporco” di vetro e plastica o conferito ad oltre 72 ore dalla raccolta e dunque in teoria non più “lavorabile” – si sarebbe preso il compost che ne risultava. Così i sindaci veicolavano questo prodotto, a tonnellate, alle aziende agricole delle loro zone. E mentre ciò accadeva a valle, a monte, cioè alla Regione, c’era chi, stando alle ipotesi accusatorie, avrebbe fatto «pressioni» sull’Arpacal e “spinto” per aumentare le quantità di rifiuti da far smaltire a Vazzano. Insomma la spazzatura non restava per strada ma, alla fine, sarebbe stata riversata sui terreni agricoli, compresi quelli con vincolo naturalistico, magari adibiti ad agricoltura “biologica” o al foraggio degli animali. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria