Da un lato i maggiorenti della cosca di Papanice, dall’altro Michele Bolognino, 57enne di Locri, ritenuto il referente del clan Grande Aracri di Cutro in Veneto. Insieme avrebbero fatto affari in Emilia investendo in attività commerciali per conto del locale di ’ndrangheta capeggiato dal boss 75enne Mico Megna. Lo mettono nero su bianco i poliziotti delle Squadre mobili di Crotone e Catanzaro e del Servizio centrale operativo in un’informativa del 2019 confluita tra le carte dell’inchiesta Glicine Acheronte della Dda di Catanzaro che coinvolge 129 persone. L’operazione, scattata il 27 giugno 2023 con 43 misure cautelari eseguite dai carabinieri, servì a smantellare la cosca Megna che s’era riorganizzata dopo la scarcerazione del capobastone nel 2014, e a disarticolare il presunto comitato d’affari (politici, imprenditori e uomini in odor di mafia) che avrebbe utilizzato le istituzioni pubbliche per fini elettorali. «La cosca Megna – annotano gli inquirenti – era riuscita ad estendere le proprie propaggini nella regione emiliana dove aveva avviato attività commerciali-imprenditoriali». E «il mantenimento di questi interessi economici – evidenziano – erano stati demandati» a Bolognino (non indagato in Glicine Acheronte) «affiancato» dal nipote del boss, Mario Megna di 51 anni. Infatti, si legge nelle 311 pagine, in passato «erano emersi importanti elementi» che avevano fatto «intendere» come i Megna, «attraverso la figura di Michele Bolognino», avessero «avviato» a Parma «attività imprenditoriali» delle quali lo stesso Bolognino «doveva rendere conto direttamente alla cosca» di Papanice. A riprova di ciò, gli inquirenti citano i «contatti» che Mario Megna «intratteneva» con Bolognino e «i periodici viaggi» che quest’ultimo «effettuava» a Crotone. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria