La speranza si affievolisce ogni giorno di più. La sete di giustizia no, non c’è acqua che possa alleviarla in un padre a cui è stato strappato via un figlio nel modo più atroce, disumano. Ingiusto, appunto. La festa del papà non può certo essere una festa per Martino Ceravolo, nessuna festa può essere tale per chi da oltre un decennio non ha più la sua spalla, il suo braccio destro, il bastone su cui avrebbe voluto appoggiarsi quando i giorni si fanno più faticosi. Martino lo si può incontrare nei mercati di paese a vendere prodotti tipici, e dietro il suo sguardo sarà sempre visibile quello di Filippo, il suo ragazzo, che porta sempre con sé e che è stato sempre al suo fianco fin quando qualcuno gli ha fermato la giovinezza in una serata d’autunno. Aveva appena 19 anni ed è morto ammazzato, il 25 ottobre del 2012, dai pallettoni di una faida di ‘ndrangheta in cui lui non c’entrava nulla.
Il bersaglio dei sicari era Domenico Tassone, un giovane di Soriano a cui quella sera aveva chiesto un passaggio in auto. Ma i giorni si sono tragicamente interrotti per Filippo e, da quella sera, anche per Martino, sua moglie Anna, le figlie Maria Teresa e Giusy. La loro vita non è, non può essere e non sarà mai più la stessa.
E ora il papà coraggio che ha macinato chilometri, si è incatenato davanti ai Tribunali, e si è sgolato chiedendo verità e giustizia è stanco, deluso, «rassegnato». Domani sarà a Roma per la XXIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. «Ma è l’ultima manifestazione a cui vado», dice con amarezza. «Dopo tutti questi anni – si sfoga – ho perso la speranza di avere giustizia. Lascerò le associazioni antimafia di cui faccio parte, la smetterò con l’attivismo. Voglio solo ritirarmi nel silenzio, intendo chiudermi nel mio dolore. Chi è genitore può capirlo».
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