«Un consapevole scambio di favori tra il presidente Giuseppe Galati e il segretario Giuseppe Antonio Bianco, volto ad assicurare ad entrambi il conseguimento di profitti connessi all'utilizzo dei fondi europei». Così la Corte di Cassazione sintetizza quanto sarebbe avvenuto nella gestione della Fondazione Calabresi nel mondo. I giudici lo scrivono nella sentenza con la quale ha reso definitiva la condanna di Bianco, ex dirigente della Regione, per peculato a 1 anno e 9 mesi di reclusione, pena sospesa e non menzione della pena nel casellario giudiziario, con confisca del profitto pari a 60mila euro. Nell’ambito della stessa inchiesta è ancora in corso il processo dibattimentale nei confronti dell’ex deputato Pino Galati, all’epoca dei fatti presidente della Fondazione e della collaboratrice Mariangela Cairo. Ma nelle motivazioni della sentenza la Cassazione più volte si sofferma sul ruolo avuto dall’ex parlamentare. Secondo quanto ricostruito dai giudici capitolini il presidente Galati aveva dapprima adottato un regolamento interno provvisorio con durata «insolitamente lunga» di un anno e sei mesi, nel quale - in violazione del principio sancito dallo Statuto, per cui gli organi della Fondazione non possono fruire di compensi ove rivestano altre cariche, fra le quali, come nel caso di Galati, quella di parlamentari - aveva previsto la possibilità di un compenso per il presidente e di un'indennità di posizione per il segretario nominato «a scavalco», qualità rivestita proprio da Bianco, e aveva poi adottato un regolamento definitivo in data 30 luglio del 2013, nel quale si prevedeva la possibilità di compensi per ruoli operativi all'interno dei progetti, principio valido anche nel caso di segretario generale «a scavalco». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro