Il profilo che si delinea in diverse inchieste è quello di una sorta di feudatario del clan Mancuso nella contrada di Limbadi (località Montalto) che segna il confine con il Reggino. Una zona delicata, non solo per gli interessi sui terreni che vi insistono, ma anche perché i “dirimpettai” sono i clan della Piana di Gioia Tauro. La Dda lo accusa anche – il processo è iniziato nelle scorse settimane in Corte d’Assise – di aver concorso nell’omicidio di Maria Chindamo, l’imprenditrice fatta sparire il 6 maggio 2016 davanti al cancello della sua proprietà proprio in quella zona. Ma l’ultima (in ordine di tempo) ordinanza di custodia in carcere a carico di Salvatore Ascone, 57enne noto come “Pinnularu”, riguarda l’ipotesi che si tratti di un fornitore di cocaina e marijuana della presunta organizzazione di narcotrafficanti colpita dalla recente operazione scaturita da un filone investigativo di “Maestrale Carthago”. Diversi pentiti lo indicano come un vero e proprio «grossista», vicino ai Mancuso – benché in quest’ultima inchiesta il gip abbia escluso l’aggravante mafiosa – e operativo da decenni, a cui rivolgersi quando c’è bisogno di «notevoli quantità» di stupefacenti. I collaboratori Saverio Cappello e Giuseppe Giampà hanno sostenuto che abbia rifornito di cocaina il clan lametino dei Giampà fin dal 2005, ma nel processo “Perseo” è stato assolto in via definitiva. Arcangelo Furfaro, pentito un tempo vicino al clan Molè di Gioia Tauro, lo colloca tra il 2011 e il 2012 come fornitore di cocaina di un uomo dei Mancuso all’epoca di stanza a Roma. Lo stesso ruolo, in tempi più recenti, glielo hanno affibbiato anche Bartolomeo Arena, Vincenzo Albanese, Andrea Mantella, Pasquale Megna ed Emanuele Mancuso. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro