Agli atti del processo Maestrale potrebbero finire alcune lettere trovate durante una perquisizione nello studio legale dell’avvocato Francesco Sabatino, imputato con l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ieri nel suo intervento in aula la pm Annamaria Frustaci ha chiesto al collegio giudicante del Tribunale di Vibo di acquisire agli atti quelle missive. Manoscritti che avrebbero due mittenti “particolari”. A scrivere all’avvocato sarebbero stati infatti il mammasantissima Luigi Mancuso e il boss ora pentito Andrea Mantella. Entrambi sono stati clienti dell’avvocato Sabatino. Secondo quanto riferito in aula dalla rappresentante della Dda di Catanzaro, però, il contenuto della corrispondenza esulerebbe dai temi di un normale rapporto tra avvocato e cliente. L’elenco della documentazione che la Dda di Catanzaro intende fare ammettere agli atti del processo verrà depositato in cancelleria il prossimo 17 aprile mentre giorno 22 il collegio scioglierà la riserva sull'ammissione dei documenti confluiti nel decreto di perquisizione e sequestro.
Secondo la Dda di Catanzaro l’avvocato Sabatino avrebbe «concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi» di alcuni clan della ’ndrangheta vibonese. Il legale, sempre secondo i magistrati, avrebbe messo a disposizione dei clan Mancuso, Pardea “Ranisi”, Galati e Accorinti «le possibilità offerte dall’esercizio della sua attività di professionista», consentendo di «eludere le investigazioni delle autorità e di acquisire notizie riservate» o «comunicando agli affiliati dell'organizzazione – si legge nel capo d’accusa formulato dalla Dda – notizie investigative ottenute nell'espletamento del mandato difensivo in favore di altri esponenti della criminalità organizzata locale». Nelle migliaia di pagine dell’inchiesta vengono ricostruiti episodi che secondo le tesi difensive del legale saranno sicuramente da collocare solo nell’alveo della sua attività professionale e che invece, secondo le ipotesi dell’accusa, rivelerebbero un rapporto tra avvocato e cliente che andrebbe molto oltre. Tanto che la Dda fa riferimento «all’attitudine» del legale a «fornire ad alcuni suoi “stretti” assistiti atti processuali che non riguardano questi ultimi», ipotizzando un presunto «interesse – sempre secondo i pm – a procacciarsi atti giudiziari che addirittura non afferiscono i propri clienti, intessendo una sorta di mercimonio delle ordinanze».
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