Hanno chiesto di essere processati col rito abbreviato due dei quattro imputati accusati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro di aver assassinato e fatto sparire il 34enne Giuseppe Castiglione, freddato il 28 gennaio 2000 nell'ambito di un regolamento di conti tre le cosche Giglio e Valente di Strongoli. Così hanno deciso il 53enne Giuseppe Mario Fazio, detto “Peppe a mafia”, considerato l’autore materiale dell’uccisione, e il collaboratore di giustizia, Francesco Tornicchio, 44 anni, che avrebbe fatto parte del commando di fuoco. Entrambi, attraverso i loro difensori, hanno avanzato l’istanza per accedere al rito alternativo (che in caso di condanna prevede lo sconto di un terzo della pena) dopo che il gip distrettuale aveva disposto il giudizio immediato nei loro confronti. Toccherà al giudice delle indagini preliminari accogliere o rigettare la richiesta. Invece, saranno giudicati dalla Corte d’assise di Catanzaro col rito ordinario il boss di Strongoli, Salvatore Giglio, di 58 anni, che avrebbe ordinato l'omicidio, e Luigi Lidonnici, 60enne, alias “Patente veloce”, presunto componente della spedizione assassina. L’operazione, che avrebbe fatto luce sul delitto di lupara bianca fino ad oggi rimasto irrisolto, scattò il 30 agosto 2023 quando i carabinieri di Crotone arrestarono Salvatore Giglio, Giuseppe Mario Fazio e Luigi Lidonnici. A dare una svolta alle indagini, iniziate a giugno 2021 e condotte fino a novembre 2022, sono state le dichiarazioni rese da tre pentiti ai pubblici ministeri: Francesco Tornicchio, Nicola Aracri e Giuseppe Vrenna. Ma è stato soprattutto Tornicchio, autoaccusatosi del delitto, a fare maggiore chiarezza sulla «scomparsa» di Castiglione. La cui uccisione - per il collaboratore - venne decretata da Salvatore Giglio all’indomani della sua scarcerazione per vendicare la morte del fratello Otello scaturita dai dissidi sorti per il business delle estorsioni a Strongoli. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria