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Sistema bibliotecario vibonese: dal furore del Festival alle... anomalie

Anni di nomine, incarichi, assemblee dei sindaci e silenzi: a portare per primo il caso in Aula il consigliere Stefano Luciano che nel 2019 parlava di «familismo amorale» e chiedeva chiarezza

Stefano Luciano

Il filo va riannodato, ripercorso anche attraverso i nodi. Perché dire Sistema bibliotecario significa rileggere tante storie che si intrecciano. Ci sono le storie degli inizi, le fatiche; ci sono le storie del Festival un tempo appartenuto a Tropea e poi fagocitato da Vibo; ci sono le polemiche, le accuse, i silenzi. Questioni culturali, burocratiche, politiche, molto provinciali anche. E ci sono tanti protagonisti.
Quelli di cui oggi la cronaca fa la storia, quelli di ieri di cui poco si è parlato. Perché Sistema bibliotecario è tutti. Sono i sindaci che lo compongono. Quelli delle assemblee. Sono i cittadini che ne hanno fatto parte. Sono i collaboratori. Sono i professionisti del settore che, a momenti alterni, ne hanno voluto condividere le gioie. Sono tanti interessi, pubblici e privati.
E, nel tempo, tutto si è mescolato, a volte ordinatamente, a volte meno. Certo, alla fine, si sono tirati tutti indietro. Non era più il Sistema bibliotecario del Festival “Leggere&Scrivere” e della Capitale del libro. Niente sfoggio di cultura, né di meriti da prendersi. Perché all’improvviso sono arrivate le «anomalie» nei bilanci, ci sono stati i rendiconti che non si trovavano, i revisori mai nominati, gli incarichi e le determine che, forse, nessuno aveva mai letto.
E se tante volte si è sussurrato di conti che non tornavano, era in una calda giornata di agosto del 2019, quando l’aria si faceva tesa in Consiglio comunale, che il caso Sbv passava attraverso i microfoni. Galeotto fu il libro? Macché, l’intera biblioteca. Perché a quel tempo il consigliere Stefano Luciano parlava di «familismo amorale» di «mercimonio», incalzando la sindaca sulla gestione dell’ente culturale. Il dubbio portato in Aula allora – attraverso un’interrogazione – era che «il Comune – spiegava Luciano – favorisca privati che usano l’attività che in apparenza sembra pubblica ma che è invece vera attività imprenditoriale».
Parole che a quel tempo fecero scatenare l’ira della sindaca e che portavano a settembre l’assessore Scalamogna a chiarire per la prima volta pubblicamente quali fossero i debiti del Sbv nei confronti del Comune, ovvero un canone di locazione mai pagato e nello specifico: sulla base di una convenzione risalente al novembre 2012, il Comune aveva concesso l’immobile al Sistema bibliotecario calabrese ed alla Provincia; entrambi avrebbero dovuto versare a palazzo “Luigi Razza” circa 15mila euro annui, ma né l’uno, tantomeno l’altra lo hanno mai fatto.

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