L’autonomia indifferenziata degli sproloqui. Da Voghera a Catanzaro: quando lo stereotipo è razzista
Perché indignarsi se qualcuno dice che l’eurodeputata Ilaria Salis veste come una cameriera di Catanzaro? «Allora le casalinghe di Voghera avrebbero dovuto querelare tutti gli italiani degli ultimi cinquant’anni», si è difeso Vittorio Feltri dopo la sollevazione (quasi) popolare registrata al Sud. Nel tentativo di mettere una pezza all’ennesima uscita infelice (per usare un eufemismo), il giornalista padano, mitico inviato del Corsera e poi alla guida di più quotidiani, suggerisce un parallelismo tra le cameriere calabresi e le massaie lombarde – “citate”, pure, da intellettuali come Umberto Eco, Alberto Arbasino, Nanni Moretti e Beniamino Placido, e diventate, nel lessico comune (in tutto il Paese, e anche in questo caso a torto), lo stereotipo della fascia della popolazione italiana piccolo borghese del secondo dopoguerra, con un grado di scolarità basso e un’occupazione precaria o di livello umile –. Discriminazione, si chiama. Comunque ingiustificabile, perché è sinonimo di razzismo, che sia “di genere” o “geografico”. D’altronde non è, appunto, una novità che Feltri utilizzi espressioni poco gentili nei confronti delle donne meridionali. In un reportage degli anni Ottanta, riportato a galla da più parti in questi convulsi giorni di polemiche e stilettate, il giornalista definì le abitanti di San Luca «vecchie, grosse e nere come insetti». Ma qualcosa, forse, si potrebbe fare: un gemellaggio tra le casalinghe di Voghera e le cameriere di Catanzaro in nome dell’emancipazione e del rispetto dei diritti delle donne lavoratrici. Un’intesa basata sullo scambio di esperienze positive. Qualcosa di autentico, non un patto farlocco come quello vagheggiato da qualche governatore leghista desideroso di portare a casa (e subito) l’intero bottino dell’autonomia differenziata.