'Ndrangheta a Vibo, il "factotum" del Tribunale assolto. Ma la Dda insiste sulla "zona grigia"
Condannato a un anno per falso in atto pubblico, l’assistente giudiziario 43enne Danilo Josè Tripodi è stato assolto dall’accusa più grave che gli veniva contestata in “Rinascita Scott”, ovvero quella di concorso esterno in associazione mafiosa, per non aver commesso il fatto (e da altri due capi d’imputazione perché il fatto non sussiste). Attualmente figura tra gli imputati del processo iniziato a fine maggio e relativo al troncone rimasto di competenza della Procura ordinaria. Intanto la Dda di Catanzaro, che in primo grado aveva invocato una pena di 17 anni, ha impugnato l’assoluzione di Tripodi dall’accusa di concorso esterno. Sostenendo che in virtù «del rapporto di estrema fiducia» che lo legava al presidente del Tribunale dell’epoca, avrebbe fornito «assistenza legale, materiale ed economica a due soggetti già condannati per traffico internazionale di stupefacenti» e avrebbe avuto «cointeressenze» con due imprenditori ritenuti legati alle cosche di Sant’Onofrio e Filadelfia. Secondo la Dda sarebbe inoltre una «figura intranea a un gruppo di spregiudicati imprenditori locali» inseriti «in sospetti affari industriali e immobiliari e orbitanti attorno ad esponenti di rilievo della ‘ndrangheta vibonese». Soggetti che farebbero parte della «zona grigia» e che avrebbero, secondo la Dda, sfruttato la posizione di Tripodi per «ottenere privilegi e “aiuti” giudiziari all’interno del Palazzo di Giustizia». Motivando l’assoluzione, i giudici hanno rilevato che «è incerta la collocazione degli stessi imprenditori con cui Tripodi manteneva rapporti, entro un definito contesto di ndrangheta». I favori ai due condannati per narcotraffico appaiono al Tribunale «giustificabili nell’ottica di stretti rapporti personali nell’ambito dei quali l’imputato ha tenuto comportamenti spontanei e frutto di libera iniziativa». I giudici poi evidenziano che nei dialoghi intercettati con i due imprenditori legati alle cosche di Sant’Onofrio e Filadelfia si faccia riferimento «alla conduzione di attività formalmente lecite» e che «non si evince» dal tenore delle intercettazioni «se Tripodi fosse anche consapevole del fatto» che le attività potessero «rientrare nel novero degli interessi strategici» delle cosche.