Carcere di Catanzaro, il capo della sanità penitenziaria Di Mizio: «Il mondo più complesso che esista»
Pianeta carceri, un microcosmo di umanità che in questi ultimi mesi sta mostrando diverse criticità. Abbiamo parlato della situazione nell’istituto cittadino con Giulio Di Mizio, capo della sanità penitenziaria dell’Asp di Catanzaro, all’interno della casa circondariale di Catanzaro e centro di giustizia minorile. Di qualche giorno fa è la notizia che un detenuto si è arrampicato sul tetto dell’istituto “Caridi”, episodio peraltro nemmeno isolato. Che succede? «Quello che succede in tutti gli istituti penali italiani, ossia si affronta la gestione del mondo più complesso che esista assieme al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Qualche giorno fa abbiamo lavorato assieme all’infaticabile Polizia penitenziaria, al direttore e al vice-direttore dell’Istituto, ai Vigili del fuoco e al 118, condividendo la linea del dialogo nella gestione della crisi, e non della forza, al fine di far rientrare la protesta e garantire la sicurezza di tutti. È intervenuto anche il pm di turno e, dopo ore, il detenuto ha accettato di scendere, illeso». Da quando ha assunto le funzioni di capo della Sanità penitenziaria della Provincia di Catanzaro, conserva la medesima opinione sulla istituzione Carcere che aveva prima? «Assolutamente no, la percezione del mondo penitenziario dall’esterno non è reale. Molti ne parlano, ne scrivono a tutti i livelli, ma la realtà è profondamente diversa e lo si capisce solo quando la si vive dall’interno». Si è fatto spesso riferimento sugli organi di stampa a presunte carenze assistenziali, nazionali e locali. «La sanità penitenziaria è sanità pubblica, e pertanto è naturale che possa risentire delle criticità dei servizi sanitari regionali, soprattutto in questo momento di severa carenza di personale a livello nazionale. È un ambito assistenziale complesso per motivazioni tecnico-organizzative: opera secondo criteri sanitari, ma nell’ambito della rigida struttura del ministero della Giustizia che deve garantire la sicurezza». Quali sono i temi più scottanti dell’assistenza sanitaria in carcere? «Una delle problematiche maggiori è rappresentata dai detenuti che manifestano disagi psichici. Ma, a dispetto di quanto leggo sui giornali, la forza di Catanzaro è quella di garantire la presenza stabile sia di tre specialisti in psichiatria (due a tempo pieno e una operativa tramite il Serd) che di quattro psicologhe e due terapiste della riabilitazione psichiatrica. Tutto ciò consente una copertura da considerarsi “rara”. La carenza è dei medici di assistenza penitenziaria, circostanza che stiamo gestendo. Poi, però, ci sono anche persone detenute non malate dalle condotte pretestuose, rivendicative e antisociali che tendono a destabilizzare il sistema per ottenere vantaggi secondari. È sbagliato etichettare le persone con problematiche di personalità come “pazienti psichiatrici”. I disturbi di personalità rappresentano comportamenti caratterizzanti l’individuo ed emergenti dal connubio tra temperamento e carattere. Per tale motivazione non rappresentano un disturbo mentale propriamente detto, ma spesso è una modalità di relazionarsi con il mondo esterno che nulla ha a che vedere con sintomi psicotici, affettivi o dissociativi. Spesso sono refrattari al rispetto delle regole e delle norme sociali. Sono persone per le quali non è prevista terapia specifica. La problematica è custodiale e trattamentale e la soluzione deve essere trovata in tale ambito. Oggi tutto ciò grava sulla Polizia penitenziaria che, senza l’uso di armi, deve fare i conti con condotte violente di persone invece in possesso di lamette, armi artigianali, olio e acqua bollente (non vietati dall’ordinamento penitenziario) e che abusa di alcol (spesso prodotto artigianalmente), e che quando non ottiene quanto desiderato, danneggia, minaccia, ricatta e provoca lesioni aggredendo gli operatori. Questo non è malattia mentale. E il nostro supporto sanitario poco può rilevare, sebbene garantito senza sosta, soprattutto perché tali soggetti hanno una bassa tolleranza alle frustrazioni e non rispettano le regole di un luogo che invece dovrebbe insegnare proprio questo». Ma i pazienti psichiatrici veri ci sono? «Certo, abbiamo in Istituto svariate persone affette da patologie mentali destruenti, quelle che una volta erano ospiti degli Opg. Dopo l’abolizione, e l’implementazione delle Rems, non sono stati però calcolati correttamente i fabbisogni a livello nazionale per cui i predetti, a seguito di reati, finiscono in carcere per le esigenze custodiali, pur non essendo persone che presso un Istituto di pena possono trovare una corretta presa in carico». Allora chi curate nelle Articolazioni per la tutela della salute mentale (Atsm) operative in carcere? «Le Atsm rappresentano reparti di ricovero psichiatrico intramurario, ove vengono accolti sia pazienti psichiatrici che devono essere sottoposti ad un periodo di osservazione clinica ai fini diagnostici (che spesso provengono anche da altre sedi italiane) sia pazienti che accettano di sottoporsi ad un periodo di riabilitazione psichiatrica, firmando un vero e proprio “contratto” di cure, seguendo un Ptri, ossia un progetto riabilitativo individuale». Quali sono gli aspetti che l’hanno maggiormente colpita in questi 18 mesi di attività in carcere? «Tra i molteplici stimoli culturali e professionali, essenzialmente uno: il carcere, in questo momento storico, è diventato il punto d’approdo di molte persone che per la prima volta, in tale sede, hanno ottenuto un efficace contatto con il servizio sanitario pubblico e che, finalmente, beneficiano della possibilità di curarsi in maniera adeguata. Autori di reato, spesso senza fissa dimora, anche stranieri, in un periodo ragionevole di tempo hanno beneficiato di un riequilibrio sia metabolico che psichico, e ora sono pronti ad accedere ad una fase di custodia meno afflittiva. Hanno preso coscienza delle dipendenze e malattie croniche da cui sono affette, e hanno iniziato un percorso nuovo verso il futuro. Questa è uno degli obiettivi che uno Stato di diritto deve garantire».