Un imprenditore «stabilmente» a servizio della cosca Grande Aracri che, «sin dall’esperienza del polo industriale di Cutro», ha portato avanti «investimenti» e «attività di riciclaggio» per conto del clan. Ecco perché il Tribunale di Crotone, il 16 aprile scorso, ha condannato a 12 anni di carcere Pasquale Barberio al termine del processo di primo grado di rito ordinario nato dall'inchiesta “Farmabusiness” della Dda di Catanzaro.
I giudici, che hanno anche assolto Raffaele Sisca e Lorenzo Iiritano, in 217 pagine di sentenza ricostruiscono la presunta portata criminale del 79enne di Isola Capo Rizzuto riconosciuto responsabile di essere stato il «collaboratore economico» del locale di ’ndrangheta. L’operazione “Farmabusiness”, scattata il 19 novembre 2020 con 19 misure cautelari eseguite dai carabinieri, avrebbe fatto luce sugli ipotizzati appetiti dei Grande Aracri in vari settori dell’economia crotonese, compresa la vendita dei farmaci. E in questo scenario, spicca Barberio che non sarebbe stato «un picciotto del clan» bensì «un professionista» che ha messo «a disposizione della consorteria», con la quale aveva «un intimo legame», le «sue competenze». Inoltre, ad incastrare l’imputato ci sono state anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Angelo Cortese e Giuseppe Liperoti, che il Tribunale ha valutato attendibili. Cortese definì Barberio come «colui che aveva costruito il villaggio “Porto Kaleo”» a Steccato di Cutro. Mentre Liperoti riferì che Barberio, assieme alla sua ex moglie, era il proprietario dello stesso stabilimento turistico e che contribuì nel 2000 «a costruire la zona industriale di Cutro».
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