Servirà un nuovo processo d’appello per stabilire l’eventuale responsabilità a carico di Pantaleone Mancuso, di 63 anni, alias «L'ingegnere», ritenuto a capo dell’omonimo clan di Limbadi, e della moglie Giovanna Del Vecchio (55), per le presunte pressioni al figlio, il pentito Emanuele Mancuso, per fargli interrompere il percorso di collaborazione con la giustizia. La prima sezione penale della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso delle difese, ha infatti annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro la sentenza di secondo grado che aveva visto i coniugi condannati entrambi a un anno e 4 mesi di revlusione. In quella sede erano stati assolti la zia del collaboratore, Rosaria Del Vecchio (58) a fronte della condanna ad un anno e 8 mesi inflittale in primo grado, e la sorella Desiree Mancuso (32), nei confronti della quale erano cadute le accuse già in primo grado. Per entrambe le assoluzioni sono state confermate e quindi diventano definitive.
Tornerà invece in appello il fratello di Emanuele Mancuso, Giuseppe Salvatore (38), condannato in secondo grado a 4 anni e un mese in quanto la Cassazione ha accolto in questo caso il ricorso della Procura generale sull'esclusione delle aggravanti mafiose decretata nel precedente giudizio di merito. Riguardo alla posizione di Pantaleone Mancuso e della moglie, la Corte d’appello aveva riqualificato la condotta in tentata violenza privata anziché in tentativo di induzione a non rendere dichiarazioni. Ricettazione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi, i reati che vengono contestati a Giuseppe Mancuso, che era accusato anche di evasione degli arresti domiciliari con l’aggravante delle modalità e delle finalità mafiose. Nei giorni scorsi, inoltre, la Cassazione, pronunciandosi sulle posizioni degli imputati che avevano optato per l'abbreviato, ha annullato la sentenza impugnata nei confronti di Francesco Paolo Pugliese - accusato di reati in materia di armi e di avere favorito la latitanza di Giuseppe Mancuso - relativamente alla caduta dell’aggravante mafiosa, come aveva stabilito la Corte d’Appello, ed al trattamento sanzionatorio con rinvio per un nuovo giudizio ad un’altra sezione dei giudici di secondo grado. Stessa decisione, anche agli effetti civili, nei confronti dell’altra imputata, l’ex compagna di Emanuele Mancuso, Nensy Chimirri e, anche in questo caso con rinvio per nuovo giudizio su un capo d’imputazione.
Secondo l’accusa, i familiari, con violenza psichica e paventando la possibilità di non poter vedere la figlia minore, nonché offerte di denaro o altre utilità, avrebbero costretto Emanuele Mancuso ad interrompere il percorso di collaborazione con la giustizia avviata il 18 giugno 2018 e ad uscire dal programma di protezione il 20 maggio 2019, non presentandosi all’interrogatorio fissato per il 21 maggio 2019. Mancuso ha poi ripreso la collaborazione poco dopo.
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