Sette episodi estorsivi, di cui sei messi a segno e uno tentato. È soprattutto con le pretese di denaro che la famiglia Martino aveva ripreso a dettare legge a Cutro all'indomani del declino della cosca Grande Aracri falcidiata da arresti e condanne. Sotto scacco erano finiti gli imprenditori, dei settori edili, agricolo e commerciale, che dal 2021 al 2022 subirono le imposizioni dei figli e della moglie del detenuto Vito Martino, ex braccio destro dell'ergastolano boss Nicolino Grande Aracri. Una serie di circostanze accumunate dalla scarsa propensione dei malcapitati a denunciare le vessazioni patite. «Non si è trattato - scrive la gip di Catanzaro, Chiara Esposito, nell'ordinanza di arresto dell'inchiesta Sahel - di pretese isolate provenienti da delinquenti che hanno agito per scopi meramente personali». In quanto, le condotte costituiscono «l'attuazione di un progetto associativo durevole nel tempo», portato a termine da «soggetti che rappresentavano gli interessi criminali di un'organizzazione delinquenziale a matrice 'ndranghetistica, fortemente radicata sul territorio». Ed «i proventi» delle estorsioni - osserva la gip - «non erano diretti ad arricchire i loro autori bensì a rimpinguare le casse del sodalizio». Tra le storie criminali finite sotto la lente degli inquirenti figurano le dichiarazioni autoaccusatorie che Salvatore Martino, uno dei figli di Vito, rese ad un'altra persona che come lui stava scontando la pena in una struttura socio-assistenziale di Spezzano Albanese.
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