Nessun dossieraggio, non migliaia di cittadini intercettati illegalmente ma appena dodici… forse. A più di quattro anni dal blitz di Carabinieri e Polizia postale quello che era stato definito come il più clamoroso caso di spionaggio degli ultimi decenni, si è progressivamente sgonfiato lasciando dietro di sé un’azienda chiusa, vite da ricostruire ma anche interrogativi ancora tutti da chiarire. Tutto ruota attorno a un edificio a due piani nel cuore della periferia sud del capoluogo calabrese. È qui che aveva sede la eSurv società nata da una costola di Connexa. Amministratore delegato Diego Fasano, figlio di un ufficiale della Guardia di Finanza. La società inizia a operare nel settore della videosorveglianza, poi la svolta. Da Febbraio 2015 a luglio 2018 la eSurv diventa imprescindibile per le Procure di mezza Italia. Merito del software Exodus destinato a rivoluzionare il settore delle intercettazioni attraverso Trojan. Nello stesso periodo lavora con i servizi segreti e la Direzione centrale servizi antidroga. L’azienda catanzarese cresce, 44 dipendenti e fatturati a sei zero. Inizia a mettere in discussione il monopolio nei servizi di cybersicurezza fino a quel momento saldamente in mano a imprese israeliane. Nell’estate del 2018 la eSurv è al suo punto massimo, arrivano richieste di partnership e anche di acquisto in particolare da un’azienda capitolina. Accade però l’imprevisto. Il server della Procura di Benevento, per la quale la eSurv stava effettuando alcune intercettazioni, si blocca. Un dipendente della società catanzarese decide di rendere disponibili alla Guardia di Finanza di Benevento i dati esfiltrati da una serie di bersagli su di un server dell’azienda. Interviene la Procura che ipotizza a carico del dipendente i reati di intercettazione abusiva, trattamento illecito di dati giudiziari, accesso abusivo a sistemi informativi. E contestualmente attiva un provvedimento di sequestro cautelativo per la eSurv.
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