Oltre sessanta milioni di investimento e la prospettiva di almeno 200 posti di lavoro, su un territorio che la crisi economica ha trasformato in un cimitero industriale. È la più significativa opportunità da almeno 10 anni a questa parte, quando Italcementi decise di chiudere il suo stabilimento, che ancora giace abbandonato nella periferia di Vibo Marina, quella che la Baker Hughes-Nuova Pignone, sta prospettando ai principali porti calabresi. La multinazionale aveva prima puntato sul porto di Corigliano-Rossano, per poi virare su Crotone, lungo la costa ionica calabrese. Ma entrambe le opportunità sembrano svanire nel nulla per ragioni ben note. E allora perché escludere un possibile ripiegamento sullo scalo di Vibo Marina? Ebbene, le difficoltà sono legate – inutile nasconderlo – alle dimensioni dello scalo. Banali problemi di spazio rischierebbero di spingere l’impresa lontano dalla costa tirrenica vibonese. Anche se, in queste ore, il pressing del Comune sull’Autorità di gestione del Sistema portuale, guidata dall’ammiraglio Andrea Agostinelli, sembra aumentare in modo significativo. Con 200 nuovi dipendenti, la Nuova Pignone (che opera in Italia per conto del colosso americano, attivo in 58 Paesi al mondo e leader nel settore dell’energia), costituirebbe una delle più grandi imprese del territorio. Ed un eventuale investimento a Vibo Marina andrebbe ad incidere in modo significativo pure sul dramma della disoccupazione alla Punta dello Stivale. Senza considerare i benefici indiretti, per un'area depressa sul piano socio-economico.