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Sfruttamento del lavoro a Catanzaro. Costretti a mentire sugli incidenti e a mangiare tra i topi

Le denunce degli ex lavoratori. Per spiare le conversazioni piazzata una cimice nei posti frequentati dai lavoratori

È uno scenario inquietante quello che emerge dalle pagine dell'inchiesta Ergon. Le intercettazioni e le dichiarazioni degli ex lavoratori descrivono con minuzia di particolari quanto sarebbe avvenuto nei supermercati del gruppo Paoletti. Gli inquirenti sono riusciti a sentire in presa diretta un colloquio tra l'imprenditore Paolo Paoletti e una nuova assunta in cui sarebbe emerso il modus operandi dell'indagato. Annota il gip come Paoletti «dava sfoggio di ampia destrezza retorica, cercando di presentare come naturale un trattamento salariale iniziale assolutamente sproporzionato rispetto alle ore lavorative previste dall’accordo. In tal senso, screditando l’iniziale utilità della neoassunta lavoratrice, l’uomo dava atto che il primo periodo sarebbe stato considerato come un “tirocinio”, come un corso di formazione, che a suo dire, avrebbe potuto essere a retribuzione zero». Invece le “concedeva” 700 euro al mese.

La giovane alla fine firmerà n contratto part time per 22 ore settimanali, ma in realtà le attività investigative hanno mostrato che la ragazza effettuava 50 ore a settimana, per un totale di 210 ore lavorative al mese. Veniva di fatto retribuita con 3,33 euro all’ora invece delle 8,51 previste dalla Contratto nazionale. Ma a chi sulla carta guadagnava di più non andava meglio. Come ha spiegato un lavoratore, erano costretti a restituire ogni mese 300 euro in contanti, corrispondenti grossomodo agli assegni familiari. «I trecento euro che dovevo restituire per garantirmi il posto di lavoro. Queste era imposto ante, come ai miei colleghi, per tutte le somme eccedenti i mille euro al mese».

I lavoratori sarebbero stati costretti anche a fare la pausa pranzo in condizioni igieniche pessime. Uno degli ex dipendenti ha raccontato che mangiava un panino, che obbligatoriamente doveva pagare alla cassa, in un magazzino dove «capitava spesso mi passassero tra i piedi topi, ma non avevo altro luogo».

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