Per chi sta al buio Catanzaro è ancora peggio. Nella città delle barriere architettoniche i ciechi e gli ipovedenti sono una categoria tagliata fuori da tutto o quasi. Non possono fare una passeggiata senza rischiare di cadere o essere investiti. Non hanno luoghi di vera socializzazione. Non sono coinvolti - o lo sono raramente - nei processi con cui la politica dovrebbe migliorare la quotidianità delle persone diversamente abili, quindi anche la loro: non ci si riferisce alle iniziative di solidarietà che li coinvolgono pure più volte all’anno, ma alle strategie che servirebbero a rendere il capoluogo una città alla portata non solo di chi vede o cammina senza problemi.
«Sono aspetti che abbiamo cercato di evidenziare nel tempo ricevendo scarse risposte. Così si arriva alla conclusione che il problema è di chi ce l’ha», sottolinea Luciana Loprete, presidente della sezione provinciale dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti (Uici). La lista di cosa manca è lunga: «Catanzaro già di suo è una città complicata fra salite, discese, vicoli stretti, marciapiedi spesso stretti, disconnessi, senza le passerelle, limitati da paletti e dissuasori, o proprio inesistenti. Non esiste un vero percorso tattilo-plantare per non vedenti se si escludono un tratto davanti alla Banca d’Italia e un piccolo attraversamento fra la Prefettura e l’Immacolata. Senza parlare – aggiunge Loprete – dell’assenza di semafori sonori, che trovo a ogni angolo di Parma quando vado a trovare mia figlia. La situazione in Calabria è un po’ ovunque la stessa, mentre Messina, ad esempio, l’ho imparata in una settimana.
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