Il racconto di come sia stato deciso, organizzato e portato a compimento l’omicidio di Domenico Belsito – eseguito nel 2004 per mondare e punire il “disonore” di una relazione della vittima con una donna sposata e imparentata con i Bonavota – è stato al centro della prima deposizione da pentito di Francesco Fortuna, 44enne ex killer del clan di Sant’Onofrio che nei giorni scorsi ne ha parlato per diverse ore davanti alla Corte d’assise di Catanzaro. Ma il nuovo pentito, rispondendo alle domande del sostituto procuratore Antonio De Bernardo – e poi sottoponendosi al controesame degli avvocati Diego Brancia, Tiziana Barillaro e Vincenzo Gennaro – ha anche ricostruito la genesi dei rapporti con i Bonavota e gli anni della sua “educazione” criminale.
Ad ascoltarlo in collegamento il coetaneo Onofrio Barbieri – diventato collaboratore di giustizia come e prima di lui – e, dal carcere di Sassari, Domenico Bonavota, imputato nel processo sul delitto Belsito assieme a Salvatore Mantella (collegato dalla casa circondariale di Palermo). Dal sito protetto Fortuna racconta di conoscere i fratelli Bonavota «dall'infanzia, da sempre», insomma «dalla nascita si può dire che ci conosciamo, ecco». Fortuna colloca quello che definisce il suo «ingresso reale» nella cosca nei primi anni 2000, ma spiega: «Siamo stati sempre amici, sempre diciamo, ci siamo sempre frequentati, siamo stati sempre vicini, già da giovanissimi per esempio qualche stupidaggine la facevamo a livello di, che poi oggi sono reati, voglio dire, già da 16-17 anni, però voglio dire all'interno della cosca diciamo da quegli anni che vi sto dicendo, 2003, 2004».
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