Milano, ieri, ha ricordato Lea Garofalo, a quindici anni dalla sua scomparsa, la testimone di giustizia di Pagliarelle uccisa a Milano il 24 novembre 2009. L’associazione Libera ha organizzato ieri, a Milano, una fiaccolata con il seguente programma: ore 17: ritrovo presso piazzale Cimitero Monumentale (Milano); ore 17.15: inizio commemorazione presso l’edicola F superiore di levante (davanti alla sepoltura di Lea Garofalo); ore 18.00: ritrovo presso piazzale Cimitero Monumentale; ore 18.15: inizio fiaccolata; ore 18.45: momento di memoria presso il “Giardino Lea Garofalo” (viale Montello 3). La donna aveva denunciato i crimini e gli illeciti della sua famiglia e quelli della famiglia rivale del suo ex compagno Carlo Cosco, in particolare l’attività di spaccio di stupefacenti e l’uccisione del fratello. Dopo essere riuscita a fuggire da un tentato rapimento, attirata con l’inganno a Milano dall’ex compagno, è stata assassinata il 24 novembre. Il processo per la sua scomparsa ha visto come imputati, Carlo Cosco (54 anni), Vito Cosco (55 anni), Massimo Sabatino (51 anni), Carmine Venturino (46 anni) e Rosario Curcio (suicidatosi nel giugno 2023 nel carcere di Opera, a Milano), che grazie alla testimonianza della figlia della vittima Denise, nel dicembre 2014 si è concluso in via definitiva con l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino, 25 anni di reclusione per Carmine Venturino, detto Pillera. Il collaboratore Carmine Venturino ha ricordato alcuni degli ultimi momenti di Lea Garofalo. Quel 24 novembre del 2009 Venturino fa la guardia in piazza Prealpi. Carlo Cosco e Lea arrivano con il Chrysler verde. Scendono dalla macchina ed entrano nello stabile al civico 2. Lea non ne uscirà più viva. “Dopo 10-15 minuti, ha raccontato ai giudici Venturino, scendono Cosco Carlo e Cosco Vito. Carlo se ne va col Chrysler senza dirmi una parola. Vito sale in auto e mi dice “l’amu fattu”, in italiano verrebbe a dire “l’abbiamo uccisa”. Mi dà un telefono cellulare e mi dice di essere quello di Lea Garofalo e mi dice di farlo sparire subito. Siamo saliti in quell’appartamento. Abbiamo acceso la luce. Il corpo era disteso per terra nel salotto. Era a faccia in giù, in una pozza di sangue. Il viso aveva grossi lividi. Era stata strangolata, intorno al collo aveva una corda verde, che io riconobbi come quella che era a casa mia e che serviva a chiudere le tende”. Il cadavere è stato prima portato in un box e la mattina successiva in un terreno di San Fruttuoso, a Monza, dove è iniziata la distruzione del cadavere, che è stato carbonizzato con la benzina. Aveva 36 anni. Dopo 15 anni, di Lea non restano che quei 2.812 frammenti ossei e dei monili ritrovati nel 2013 all’interno di un tombino. Quella di Lea Garofalo è una storia di coraggio e ribellione. Di una donna e di una madre che, per amore della libertà e di sua figlia Denise, sfidò la ‘ndrangheta e le regole di omertà che regolano quella cultura. A distanza di quindici anni, la sua eredità continua ad essere un monito per le istituzioni e un esempio per tante donne che trovano la forza di ribellarsi e liberarsi dall’oppressione mafiosa.