Il crac della Soakro nel 2016 avvenne «nella totale inerzia tanto del Consiglio di gestione quanto del Consiglio di sorveglianza» della società. I quali, «con la loro omissione», concorsero ad «aggravare il dissesto» della partecipata «tanto che il passivo registrato nel bilancio 2012», pari a 35.845.804 euro, risultò «raddoppiato al momento del fallimento». Ecco spiegato perché il Tribunale di Crotone, il 10 settembre scorso, ha inflitto 14 condanne a carico non solo degli ex rappresentanti legali ed ex amministratori, ma anche degli allora componenti degli organismi di controllo della Soakro. Tutti riconosciuti responsabili del fallimento dell'azienda pubblica – che gestiva il servizio idrico integrato dei Comuni – per oltre 49 milioni di euro. L'«aggravio del dissesto», scrive nelle motivazioni della sentenza la giudice estensora Chiara Daminelli, «è imputabile ai due board, amministrativo e di controllo, in carica negli ultimi due anni della società». Da un lato gli allora esponenti del Consiglio di gestione della Soakro: gli amministratori Domenico Capozza (condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere), Felice Benincasa (3 anni), Rita Procopi (3 anni), Silvia Modesto (2 anni) e Francesco Benincasa (2 anni), assieme all'ex direttore generale Francesco Sulla (4 anni e 5 mesi) e agli amministratori di fatto Umberto Marrami (4 anni e 4 mesi) e Michele Liguori (6 anni). Dall'altro i componenti del Consiglio di sorveglianza: Giovanni Carnè (6 anni), Raffaele Villirillo (3 anni), Antonio Strancia (3 anni), Giuseppe Serravalle (3 anni) e Marianna Caligiuri (3 anni).