«Nelle migliaia di pagine dell'indagine non c'è il sottoscritto. C'è un altro. Costruito secondo un copione di film». E ancora: «Ci sono migliaia di parole e di frasi che vogliono presentare e offrire un modo di fare politica distorto, di una persona, di un ruolo, di una funzione, di una competenza, diversa dalla realtà». È partita da qui la difesa di Vincenzo Sculco. Che ieri ha reso dichiarazioni spontanee davanti al Tribunale di Crotone nel corso del processo nato dall'inchiesta "Glicine-Acheronte" della Dda di Catanzaro che lo vede sotto accusa insieme ad altri cento imputati.
Con l'operazione scattata il 27 giugno 2023 con 43 misure cautelari eseguite dai carabinieri, i pm si dissero convinti da un lato di aver sgominato il presunto comitato d'affari, del quale avrebbero fatto parte lo stesso Sculco ma anche l'ex governatore Mario Oliverio e l'ex deputato Nicola Adamo, capace di utilizzare le istituzioni pubbliche per fini elettorali. Dall'altro di aver smantellato la cosca Megna di Papanice che s'era riorganizzata dopo la scarcerazione, nel 2014, del boss Mico Megna. E in questo scenario si inserisce la figura dell'ex consigliere regionale, padrino politico dell'amministrazione comunale di Crotone negli anni 2016-2019.
«In questi 18 mesi (in cui si ritrova ristretto ai domiciliari, ndc) – ha lamentato Sculco – non ho avuto la possibilità di difendermi. L'accusa ha ritenuto che non ci fosse bisogno, che poteva fare tutta da sola».
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