È legittima la procedura che nell’aprile dello scorso anno portò allo scioglimento del Comune di Tropea (in provincia di Vibo Valentia) per presunte ingerenze della criminalità organizzata che avrebbero esposto l’amministrazione cittadina a condizionamenti compromettendone il buon andamento e l'imparzialità dell’attività amministrativa. L’ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto un ricorso proposto dagli ex amministratori comunali, con in testa l’ex sindaco Giovanni Macrì. I giudici, dopo aver richiamato alcuni dei principi che la giurisprudenza ha enunciato con riguardo ai provvedimenti di scioglimento delle Amministrazione comunali per infiltrazioni della criminalità, hanno focalizzato la loro attenzione su tutti gli elementi posti a base del decreto riguardante il Comune di Tropea.
«Si premette, anzitutto - si legge nella sentenza - che tale provvedimento ha correttamente esposto, nella propria motivazione, il duplice momento valutativo richiesto, sotto il profilo logico» dalla normativa di riferimento, avendo infatti "dapprima, indicato plurime circostanze di fatto che, valutate nel loro insieme, ragionevolmente rivelano l’esistenza di collegamenti e condizionamenti degli amministratori locali da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso» e successivamente «descritto una serie di anomalie e irregolarità riscontrate nell’azione amministrativa dell’ente locale, le quali, se valutate anch’esse nel loro complesso e non atomisticamente, dimostrano, in modo plausibile, come i predetti collegamenti e condizionamenti abbiano effettivamente determinato un’alterazione del procedimento di formazione della volontà dell’ente locale, piegandolo agli interessi della criminalità organizzata».
Alla fine, per il Tar, il quadro ricostruttivo delineato non viene scalfito dalle censure svolte con il ricorso proposto, arrivando a concludere che «i quattro elementi indiziari citati nella proposta ministeriale - ossia il sostegno alla lista elettorale da parte della 'ndrina egemone sul territorio, le relazioni parentali tra amministratori ed esponenti delle cosche, i rapporti di frequentazione e convivialità tra gli stessi e, infine, l’acquisto dell’autovettura da un parente di un esponente apicale del clan - valutati non atomisticamente, bensì nel loro complesso, gli uni alla luce degli altri, appaiono idonei a supportare, in termini di plausibilità e ragionevolezza, il giudizio dell’Amministrazione in merito all’esistenza di collegamenti, diretti o indiretti, tra amministratori locali e soggetti affiliati o vicini alla criminalità mafiosa».
Caricamento commenti
Commenta la notizia