Inchiesta sui clan tra Squillace e Catanzaro, in cinque rinviati a giudizio. Per altri 22 si procede con il rito abbreviato
Cinque persone rinviate a giudizio e altri 22 indagati che hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato. Si chiude così l’udienza preliminare scaturita dall’inchiesta Scolacium che ha decapitato i clan che avevano imposto il «controllo assoluto» sul territorio che va da Squillace fino a Catanzaro. Sono stati mandati a processo: Adrian Domianov Dimitrov 39 anni bulgaro; Francesco Gualtieri 44 anni di Borgia; Raffaele Pace 49 anni di Catanzaro; Sandra Stitzia 48 anni residente a Vallefiorita e Davide Benedetto Zaffina 32 anni di Lamezia. La prima udienza per loro è stata fissata per il 19 marzo davanti al Tribunale collegiale. Il processo con rito abbreviato proseguirà invece il 4 aprile con la requisitoria del pubblico ministero per i 22 imputati. Del collegio difensivo fanno parte gli gli avvocati, Antonio Lomonaco, Sergio Rotundo, Saverio Loiero, Michele Gigliotti, Giovanni Merante, Vincenzo Galeota, Cosimo Tripodi, Salvatore Staiano, Marco Sinopoli, Saverio Pittelli, Gregorio Viscomi, Giuseppe Gervasi, Paola Stilo. Due in particolare le cosche colpite dall’operazione della Dda: i Catarisano che controllavano l’area di Roccelletta di Borgia fino all’area industriale di Germaneto, e i Bruno che da Vallefiorita estendevano i propri tentacoli anche su Amaroni e Squillace. Nulla nei rispettivi territori di competenza poteva avvenire senza il placet del clan. Tutte le attività commerciali e imprenditoriali non sfuggivano alla presa asfissiante della criminalità, dal settore boschivo al commercio dalle attività di ristorazione alle strutture turistiche, il sistema di estorsioni non risparmiava nessuno. Un imprenditore delle energie alternative per ottenere la cosiddetta “tranquillità ambientale” e poter realizzare un parco eolico avrebbe dovuto consegnare materiale edile per 250mila euro utilizzato poi per realizzare la casa della moglie di un affiliato. Ma se alcuni imprenditori erano costretti al silenzio con la paura altri avrebbero fatto affari insieme ai clan. Tra i reati contestati anche il raid compiuto nella casa dei genitori di un collaboratore di giustizia.