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Il potere dei Grande Aracri in Emilia. Si sono affermati come "'ndranghetisti moderni"

Dopo aver vinto la guerra di mafia con la famiglia Dragone, i Grande Aracri e i loro sodali hanno potuto dedicarsi agli affari: hanno agito come imprenditori, occupandosi di investimenti immobiliari, riciclaggio di capitali illeciti, operazioni di false fatturazioni, «affermandosi come 'ndranghetisti moderni» dalla vocazione imprenditoriale che operano sottotraccia, spartendosi i lavori e infiltrandosi nei settori redditizi dell’economia, come le discoteche, adottando in tal modo un più sofisticato metodo di penetrazione criminale del tessuto sociale ed economico del territorio emiliano.

Lo ricostruiscono i giudici della Corte di appello di Bologna, motivando la sentenza "Grimilde" dove hanno valutato le posizioni di 13 imputati e hanno aumentato la pena a Francesco Grande Aracri, da 19 a 24 anni, ritenendolo vertice e non solo semplice partecipe dell’associazione mafiosa, come invece stabilito dal tribunale di Reggio Emilia. "Grimilde" aveva al centro proprio le infiltrazioni della 'ndrangheta in Emilia e in particolare nella zona di Brescello, unico comune emiliano-romagnolo della storia ad essere stato sciolto per mafia.

Il fatto di essere fratello di Nicolino, per il collegio di giudici (Luisa Raimondi, Sonia Pasini, Andrea Migliorelli), avvalora la sua caratura criminale, ma non significa non avere una propria riconosciuta autonomia e un proprio potere decisionale per operare nel territorio di Reggio Emilia. La sua posizione di vertice, per la Corte, è testimoniata anche da convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia: anche dopo l’indagine Edilpiovra, nel 2004, ha continuato a mantenere la veste di capo, pur mandando avanti nuove leve, ossia i figli, scegliendo di esporsi il meno possibile. Ma ha mantenuto rapporti diretti con la casa madre cutrese e ha strumentalizzato i buoni rapporti con l’amministrazione di Brescello, in particolare con i sindaci Coffrini, padre e figlio.

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