'Ndrangheta a Catanzaro, smantellato anche un sistema di truffe e intestazioni fittizie in Lombardia e Calabria
Avevano organizzato un vasto sistema di intestazioni fittizie e truffe che coinvolgeva almeno 12 esercizi commerciali, con diramazioni tra la Calabria e la Lombardia. E' quanto è emerso dall'ordinanza di custodia cautelare vergata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, Gilda Danila Romano, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che ha portato all’emissione di misure cautelari nei confronti di ventidue indagati legati a un’associazione di stampo mafioso. Secondo quanto emerso dall’ordinanza firmata dal Gip, il gruppo criminale aveva creato un sofisticato sistema per il riciclaggio di denaro illecito attraverso la gestione occulta di attività commerciali. Al centro delle indagini, l’intestazione fittizia di un supermercato in Lombardia, utilizzato come base per operazioni illecite che spaziavano dall’evasione fiscale alla frode.
Il Metodo della Truffa
Ad alcuni degli affiliati al clan dei Gaglianesi, sgominato con l’operazione che questa mattina ha portato all’arresto di 22 persone, viene contestata anche una lunga serie di truffe commesse tra il 2021 e 2022,commesse sotto la regia di Pietro Procopio, 70enne di Davoli (Cz) ma residente a Catanzaro. Il meccanismo truffaldino ruotava intorno alla costituzione di una società, la Alipadania srl, con sede in Borgo Ticino, provincia di Novara, attraverso la quale erano stati avviati reali e fattivi rapporti commerciali con varie ditte, finché, dopo aver trattenuto un ingente quantitativo di merce consegnata dai vari fornitori, venivano interrotti i pagamenti e si portava strumentalmente e fraudolentemente la società al fallimento. «Se la visione degli atti potrebbe far ipotizzare una mera ipotesi di crisi imprenditoriale rilevante sul piano civilistico contrattuale, con le dovute ricadute sul piano imprenditoriale - scrive il gip Gilda Romano - la valutazione dell’operato degli indagati dalla genesi della società e dalla delineazione poi della concreta attività imprenditoriale porta a scartare l’ipotesi di una crisi economica come fondamento di quanto accaduto e a riportare al giusto significato le sorti della Alipadania e dei rapporti avviati». E’ risultato chiaro - spiega il giudice - che è stata concepita la costituzione di «una società vuota e fittizia, pensando a chi potesse rivestire la carica formale di una articolata realtà di impresa, per poi individuare il settore di azione, ovvero l’apertura di un supermercato che fungesse da soggetto giuridico ordinante i beni di più disparata varietà, che venivano poi trasportati in Calabria e reimmessi in vendita nelle loro aziende, destreggiandosi fra fatturazioni pilotate, pagamenti posticipati, poi mai effettuati, e poi sviando le richieste dei pagamenti ai primi ritardi». Le società risultate creditrici nella procedura concorsuale e vittime di truffa sono infatti le stesse - osserva il gip - che emergono dalle indagini e riscontrate nelle intercettazioni telefoniche ed ambientali. Il sistema scoperto prevedeva la creazione di società di comodo intestate a prestanome, che servivano per schermare i reali gestori e facilitare operazioni fraudolente. Il supermercato lombardo era solo la punta dell’iceberg: l’indagine ha rivelato una rete di negozi, ristoranti e altre attività economiche utilizzate per occultare i proventi illeciti e riciclare denaro proveniente da estorsioni, usura e traffico di stupefacenti.
I Collegamenti con la ‘Ndrangheta
Le accuse mosse agli indagati includono l’associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e truffa aggravata. Secondo l’inchiesta, il clan operava con un ferreo controllo del territorio e si avvaleva di metodi intimidatori per mantenere il dominio sulle attività economiche locali. Gli affiliati garantivano la protezione dei loro esercizi commerciali attraverso minacce e violenze, evitando così ogni forma di concorrenza.