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Il clan di Cutro in Emilia si era infiltrato anche nell’economia

Il ruolo di Giuseppe Sarcone Grande al vertice del ramo emiliano della cosca Grande Aracri «era rimasto intatto» per molti anni. In questo modo il 64enne di Cutro sarebbe riuscito ad espandere le sue «attività commerciali» ricorrendo alle «false fatturazioni» e agli «investimenti immobiliari». Al punto da «presentarsi agli istituti bancari munito di grandi disponibilità finanziarie da poter reinvestire in attività lecite» alla luce degli «immensi profitti derivanti dal traffico di droga e di armi, dalle estorsioni financo dagli omicidi».
Così la Corte d’appello di Bologna descrive la figura di uno dei fratelli Sarcone, ritenuti alla guida della ’ndrina attiva sulle rive del Po. E lo fa nelle oltre 700 pagine di sentenza con la quale, il 29 maggio 2024, ha comminato 22 condanne nell'ambito del processo di secondo grado di rito abbreviato nato dall'inchiesta “Perseverance”. L’operazione, scattata il 12 marzo 2021 con dieci arresti eseguiti da Polizia e Finanza, sulla scia dei blitz “Aemilia” del 2015 e “Grimilde” del 2019 consentì alla Dda di Bologna di mettere sotto scacco le nuove leve ed alcune “vecchie conoscenze” del clan di Cutro radicato tra le province di Reggio Emilia, Modena, Piacenza e Parma. E in questo contesto criminale, spicca Giuseppe Sarcone Grande (pena di 16 anni e 8 mesi di carcere) che è stato riconosciuto «organizzatore» del gruppo mafioso con base a Reggio Emilia in seguito alle condanne riportate dai fratelli Nicolino, Gianluigi e Carmine Sarcone nei vari tronconi processuali di “Aemilia”.

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