
Anm assume posizione ruvida a tutela del prestigio asseritamente leso di fronte ad un articolo di stampa (Valerio Murgano in PQM, numero 62, del 5 aprile scorso) di analisi di un periodo di recentissima storia giudiziaria calabrese che non ci siamo lasciati alle spalle. Ann non tollera che se ne parli come stagione di intollerabili abusi. Ma se la verità è nascosta, violata, maltrattata, allora bisogna che qualcuno assuma il coraggio di ristabilirla. Ed è ciò che si è incaricato di fare il numero di PQM, non solo con l’articolo “incriminato”, ma dedicando l’intero inserto alla esigenza di chiarire, numeri alla mano, che a dispetto dei monologhi televisivi nei quali si afferma – a torto – che la guerra al male condotta negli ultimi 8 anni in Calabria non ha prodotto effetti collaterali, in realtà il tasso di vittime innocenti (e di aziende) sacrificati sull’altare del diritto penale di lotta ha assunto dimensioni da primato, come attesta il report del 2024 del Ministero della Giustizia.
Senza verità, non ci può essere giustizia. Ecco perché non è accettabile il tentativo di riscrivere ex post la storia, di archiviare quella stagione sostenendo – senza contraddittorio e su canali di comunicazione nazionali – che la chemioterapia giudiziaria, pur aggressiva, ha mantenuto indenni le cellule sane del tessuto sociale ed economico. Non è così. E lo sappiamo bene, tutti. Numeri alla mano, negli ultimi 8 anni le libertà di molti cittadini innocenti sono state risucchiate nel tritacarne mediatico giudiziario con effetti devastanti. E se tutto ciò è potuto accadere, è perché a dispetto di una Procura forte, muscolare, è mancato il contrappeso di un Giudice altrettanto forte nella fase più delicata, quella cautelare, dove si sono prodotte cicatrici personali, familiari, sociali, politiche ed economiche non più rimarginabili. Comprendiamo, quindi, le difficoltà di ANM, ma la storia si impone con la sua evidenza, non solo numerica, e bisogna accettare l’effettiva, seria e stringente critica sul sensibilissimo punto della mancanza di indipendenza del giudice dal pubblico ministero.
Perché non potrà esserci cambio di passo, culturale innanzitutto, se la concezione della giurisdizione che ispira la magistratura associata vede il giudice partecipe, corresponsabile e garante dell’attuazione della pretesa punitiva, più che custode di libertà individuali. Fa male allora la critica che sfida l’idea paternalistica del ruolo del giudice (quella che ha ucciso nella culla il processo accusatorio) e che proviene, in questo scorcio della storia contemporanea, dai non ossequienti avvocati delle Camere Penali (associati per essere liberi e per affrancarsi dalla più gradita al potente, condizione di avvocato da anticamera saldamente tenuto alla briglia). Perché non sfugge a nessun osservatore attento dell’assetto interno della magistratura che la stretta interdipendenza ed intercambiabilità, nella comune appartenenza all'identico apparato, del giudice e dell’attore pubblico, sia condizione per la conservazione dell’enorme potere accumulato rompendo gli argini della soggezione alla legge.
Le osservazioni sui numeri impietosi prodotti dalla collateralità culturale e funzionale sono di dirompente, micidiale efficacia rispetto alla tenuta del discorso pubblico alimentato dalla magistratura associata nella battaglia politica in corso. Ed ha ragione a preoccuparsene la Magistratura associata. Perché ANM di Catanzaro, che ritiene di poter isolare le posizioni critiche come voci stonate, cerca spazio nel dibattito pubblico in una regione assillata dal crimine ma al tempo stesso mortificata dai rimedi drastici che hanno ulteriormente indebolito e disgregato il tessuto sociale ed economico. Perché da queste parti la mancanza di effettiva indipendenza- con coraggiose eccezioni talvolta pagate a caro prezzo- ha lasciato sul terreno molte vittime in carne e ossa e non è argomento appannaggio di benpensanti da salotto. dalla promozione del Celebrato, sarebbe auspicabile, un cambio di marcia, un atteggiamento di maggior rispetto verso i portatori di piaghe purulente che non soffrono di meno sapendo che son state prodotte con l’intento nobile di cauterizzare il tessuto sociale ammalorato dal crimine. Ed anche di maggior rispetto per le istituzioni che dovrebbero contribuire alla qualità del servizio giustizia.
Se i Consigli Giudiziari si sono trasformati in centri di sottopotere inutili è perché non ha funzionato - anzi non può funzionare un meccanismo di verifica seria di professionalità - senza una rappresentanza indipendente dell'avvocatura capace di attivare effettivo e paritario confronto. Se ANM fosse avvezza al confronto paritario si accorgerebbe che una rappresentanza dell'avvocatura capace di critica libera sarebbe un valore prezioso all'interno del consiglio giudiziario. Lo diceva bene qualche anno fa la Presidente pro tempore di Magistratura democratica, Cinzia Barillà, dubitando che gli avvocati se dotati di maggior peso, saprebbero esercitarlo, attesa certa diffusa subalternità culturale delle rappresentanze istituzionali dell'avvocatura. Ora non può pretendersi che non si avverta fastidio di fronte all'avvocato che senza timore reverenziale, eserciti il diritto di critica. Ma non crediamo convenga ai rappresentanti di potere (ordine?) dello Stato, pretendere di stabilire la misura giusta e le regole di ingaggio del dibattito pubblico, nemmeno fossero i magistrati una categoria fragile. Perderebbero ancor più in credibilità, apparirebbero solo interessati a difendere posizioni di privilegio acquisito esercitando potere terribile senza adeguati contrappesi.
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