Catanzaro, Crotone, Vibo

Sabato 19 Aprile 2025

Vibo Valentia, processo Cacciola: assolto per inutilizzabilità della prova

Con ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia, in data 23/11/2022 è stata data esecuzione all’applicazione di misura cautelare in carcere per Giuseppe Cacciola  di Rosarno, per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti e per il reato di tentata estorsione nei confronti di Labruna Micci. Cacciola era stato condannato sia in primo grado che in appello per i reati contestati, pertanto vi era la condanna c.d. “doppia conforme”. La Seconda sezione penale della Suprema Corte di cassazione, con sentenza emessa in data 15 aprile 2025, decidendo sul ricorso presentato dall’avvocata Mariangela Borgese, difensore del sig. Cacciola, e in pieno accoglimento dello stesso, ha annullato senza rinvio la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro che aveva confermato la sentenza di condanna di primo grado del Tribunale di Vibo Valentia ed ha assolto Cacciola da tutti i reati contestatigli. La sentenza ha pienamente accolto il ricorso per cassazione pronunciandosi in maniera del tutto innovativa sulla questione di inutilizzabilità patologica, dedotta dall’avv. Borgese, relativa all’acquisizione dei contenuti di conversazioni telefoniche su applicativi internet,in mancanza di espresso decreto di sequestro urgente da parte del PM e di successivo decreto di acquisizione da parte del Giudice. Tale questione di inutilizzabilità patologica della prova vietata ed incostituzionale era stata già dedotta dall’avv. Borgese nei precedenti gradi di giudizio, che aveva richiamato l’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo ed in particolare della sentenza della Grande sezione della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 2 marzo 2021, che pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale formulato dalla Corte suprema estone in ordine all'interpretazione dell'art. 15, par. 1, dir. 2002/58/CE - relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche - come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 - ha delineato una serie di condizioni cui gli Stati membri devono subordinare l'accesso ai dati conservati dai fornitori da parte dell'autorità pubblica per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, in modo da poter bilanciare tale esigenza con la contrapposta necessità di tutelare il diritto alla riservatezza. La Corte di Giustizia, in particolare, approfondendo i principi già affermati in precedenza in materia di data retention (CorteGiustizia,Grande Sezione, 21 dicembre 2016, cause riuniteC-203/15 e C-698/15, Tele2 Sverige AB; Corte Giustizia, Grande Sezione, 8aprile 2014, cause riuniteC-293/12eC-594/12, Digitale Rights Ireland),ha affermato che la direttiva, letta alla luce degli artt. 7, 8 e 11 nonchè dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, osta a una normativa nazionale che permetta alle autorità pubbliche l'accesso a dati relativi al traffico o a dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o, sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate senza la preventiva autorizzazione di un'autorità giudiziaria indipendente e terza rispetto alle parti, pubbliche e private. I giudici di merito di I e II grado avevano rigettato la questione di inutilizzabilità della prova e avevano condannato Cacciola. La Corte di Cassazione, invece, con orientamento innovativo ed aderente alla giurisprudenza europea, ha accolto il ricorso proprio in relazione ai profili di inutilizzabilità della prova vietata ed incostituzionale poiché acquisita in violazione dell’art. 15 Costituzione ed annullando senza rinvio la sentenza di condanna ha assolto Cacciola .

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