Le famiglie criminali dei Ciampà e Martino avevano siglato una «pax mafiosa» in nome degli affari per ritornare a dettare legge a Cutro. In che modo? A colpi di estorsione ai danni di imprenditori e commercianti del popoloso centro del Crotonese. È questa l’ipotesi accusatoria delineata ieri dal pm Elio Romano della Dda di Catanzaro nel corso dell’udienza del procedimento di rito abbreviato, a carico di cinque imputati, nato dall’inchiesta su un presunto giro di “pizzo” che sarebbe avvenuto all’ombra del clan Ciampà-Martino. E al termine della requisitoria esposta davanti al gup del Tribunale di Catanzaro, Mario Santoemma, il pubblico ministero ha invocato cinque condanne. Otto anni di carcere ciascuno sono stati chiesti per Giuseppe Ciampà di 42 anni, nipote del boss Antonio Dragone ucciso in un agguato di mafia nel 2004, e per il 37enne cugino Salvatore Ciampà, detto “u liune”; poi, sollecitati 10 anni di detenzione a testa per i fratelli Francesco Martino di 28 anni e il 32enne Salvatore Martino, figli di Vito Martino, carcerato e braccio armato del boss ergastolano Nicolino Grande Aracri; infine, chiesti 6 anni di carcere per il 39enne Carmine Muto, fratello del collaboratore di giustizia Salvatore.