
Venivano descritti come gli ultimi depositari di un mestiere in via d’estinzione già 50 anni fa, ma questa etichetta i carbonai delle Serre continuano a vedersela appiccicata addosso anche oggi, pur continuando a lavorare di notte e di giorno, tramandando i loro metodi di produzione del carbone vegetale – c’è chi sostiene risalgano ai Fenici – di padre in figlio. Sono considerati quasi un’attrazione turistica da chi arriva sui monti che segnano il confine tra le province di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria animato, pur inconsapevolmente, da un preconcetto che relega le loro fatiche a folklore esotico, quasi sempre narrato con scorciatoie comunicative e ampollosità verbali e visive di cui si potrebbe fare certamente a meno.
Dietro le cupole fumanti che, quando si rivelano tra i maestosi abeti delle Serre calabresi, sembrano dei piccoli vulcani neri, c’è però molto altro che mero materiale da marketing territoriale a beneficio dei tour operator. Così come c’è in realtà ben poco di etereo nelle nuvole di fumo acre che dai loro cantieri si propagano nei paesi circostanti.
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