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Estorsioni, truffe e gaming a Crotone, la città era in mano ai Megna

La sentenza del processo “Glicine Acheronte” ricostruisce l’operatività del clan di Papanice che esercitava, come sottolinea la gup, «il potere intimidatorio per conseguire profitti illeciti»

Dall’agroalimentare alla ristorazione, dal business delle macchinette da gioco alle truffe, fino alla vigilanza privata. Ecco come la cosca Megna di Papanice avrebbe affermato «il suo potere intimidatorio sul territorio crotonese» per «conseguire profitti illeciti». Emergono nuovi dettagli dalle motivazioni della sentenza del processo “Glicine Acheronte” di rito abbreviato che, lo scorso 14 maggio, è terminato con 9 condanne e 15 assoluzioni.
La gup del Tribunale di Catanzaro, Sara Merlini, ricostruisce «l’operatività» del clan diretto dal boss Mico Megna (imputato a Crotone nel dibattimento di rito ordinario e in Corte d’assise a Catanzaro per l’omicidio di Salvatore Sarcone avvenuto nel 2014), coadiuvato dal nipote Mario Megna (condannato a 16 anni di carcere). Come si ricorderà, l’operazione “Glicine Acheronte” scattò il 27 giugno 2023 con 43 misure cautelari eseguite dai carabinieri del Ros sotto il coordinamento della Dda di Catanzaro.
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