Il recente intervento dell’architetto Pasquale Lopetrone, della Sovrintendenza ai Beni architettonici, artistici e paesaggistici delle province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, sul disegno che decora la pavimentazione del Castello di Cirò, ha rilanciato l’ interesse, un po' sopito, sull’affascinante enigma che avvolge il complesso ennagramma presente sul lastricato del cortile del maniero quattrocentesco. Il dibattito sulla geometria stellata, si riaccende mentre si aspetta, il sospirato avvio da parte del Comune del centro collinare - che ne è diventato proprietario - dei lavori di restauro, coperti da un doppio finanziamento per 4 milioni di euro. La pavimentazione, in ciottoli di fiume, su uno spazio di 17x17 metri, è stato oggetto di studi e interpretazioni a volte divergenti ma sempre suggestive. Le analisi degli architetti Salvatore Costa e Nicodemo Guagliardi rimandano a interpretazioni astronomiche e filosofiche che da millenni avvolgono il simbolo della stella a nove punte. Nel complicato gioco di geometrie, hanno individuato la proiezione, su pietra, degli studi matematici e astronomici condotti da Luigi Lilio, l’autore della riforma del calendario gregoriano, che nacque proprio a Cirò nei prima decade del ‘500; con una precisione straordinaria, vi “leggono” il movimento lunare, il moto della terra intorno al sole ed i punti equinoziali ed i solstizi, d’estate e d’inverno, quest’ultimi, rappresentati nei quattro “diamanti di luce” due dei quali, appunto, occupati dal tropico del cancro e del capricorno. I cui simboli sono inequivocabili. "Si tratterebbe dunque – scrive Lopetrone - di una macchina capace di dimostrare i complicati calcoli liliani del lunario novo". Di certo – continua – è un manufatto bizzarro: un codice misterioso, unico al mondo, che da secoli si propone come un intricato e interessante enigma da decifrare". La stessa data, replicata due volte, 1564, individuata sul lato nord ovest e sud est, del cortile, nel 2017, da Giuseppe De Fine, è una test per abili crittografi. A riprova che tutto l’atrio sia un difficile rompicapo, De Fine, evidenzia che i primi due numeri, potrebbero essere, in realtà, delle lettere: "La I di Isabella e la S di Spinelli; la nobildonna, proprietaria all’epoca del Castello". A confortarlo, è un altro appassionato di storia locale, Francesco Vizza che ricorda come "fosse comune a quel tempo mescolare numeri arabi con quelli romani". Per De Fine, la doppia stella inscritta in cerchi concentrici potrebbe essere una rosa dei venti, per "la corrispondenza degli ingressi nell’atrio con i venti Meridionali, Levante, Scirocco, a sud; Tramontana e Maestrale, a nord; Ponente e Libeccio a ovest"; in alternativa suggerisce l’idea che sia una complessa meridiana in cui "l’ombra avanza sulle 12 linee tracciate sulla pavimentazione la mattina da est ad ovest, ed il pomeriggio il in direzione contraria".