Servono scrittori che sappiano essere sceneggiatori, finanziamenti europei, settemila metri quadri per realizzare gli studi, in un luogo tra Sila e Aspromonte, registi (quello però è il problema più semplice) e maestranze vere «che abbiano imparato sul campo e non sedute a qualche corso di formazione». Aggiungiamo voglia, passione e follia ed avremo la «fabbrica dell'audiovisivo» che Giovanni Minoli, neo commissario della Fondazione Film Commission della Calabria, definisce «di fantasia». Di fantasia perché? «Siamo a livello zero». Al momento c'è solo una componente basilare – «la bellissima Calabria luogo ideale» – che però, da sola, se non si costruisce un progetto valido, un’architettura intorno, non regge per realizzare quello che Jole Santelli ha chiesto: «Un'industria dell'audiovisivo seriale di livello nazionale ed internazionale».
Seriale uguale fiction? Sì, ma non solo. Tutto quello che appassiona per lungo tempo lasciando incollati ad un prodotto e a dei personaggi un popolo, un'intera nazione e la Calabria è ovunque nel mondo. Minoli, del resto, è il padre di “Un posto al sole” e di “Agrodolce” due esempi di narrazione locale – con ben diversa fortuna, però – con intrecci e trame che hanno saputo ben captare il disagio di realtà difficili e contesti sociali di emarginazione e criminalità nella ricerca del riscatto.
«Per la Calabria ho pensato ad un filone principale incentrato su una professoressa e un magistrato donna vissuto e formato all'estero che fa ritorno in Calabria. Entrambe impegnate a diffondere la cultura della legalità». “Cultura Lab” è novità, dunque. Non più pellicole e produzioni cinematografiche – che venivano sostenute dalla Film Commission portando in Calabria i set e dando lavoro anche a maestranze locali (la nuova legge per il cinema, creata dalla Film Commission di Pino Citrigno, impone quote precise per il lavoro locale) – , ma un asse che si muoverà su cinque direttrici: documentari, docufilm, lunga serialità, media serialità, e in ultimo film. «Quella è la vecchia Film commission che è una definizione sovietica, troppo riduttiva».
La Film Commission – alla cui stesura Santelli dice di aver partecipato, sotto la presidenza di Giuseppe Chiaravalloti – è stata definita uno strumento vecchio, datato. Anche se, per la verità, era stata rinnovata di recente, dalla gestione Citrigno, sanando i bilanci, avviando un’economia sempre più solida ma soprattutto costruendo una credibilità e una reputazione di tutto rispetto nel mondo del cinema e raggiungendo notevolissimi traguardi: ben quattro David di Donatello (l’ultimo dei quali a “Inverno” di Giulio Mastromauro); il successo di “Padrenostro”, il film di Claudio Noce (sugli schermi proprio in questi giorni) in concorso alla 77esima Mostra di Venezia, che ha visto uno straordinario Pierfrancesco Favino conquistare la Coppa Volpi; importanti produzioni in corso – titoli come “L'afide e la formica” di Mario Vitale, protagonista Beppe Fiorello, “Ostaggi”, di Eleonora Ivone, “Gli Anni Belli”, di Lorenzo d'Amico – e altre, vincitrici dei bandi precedenti, che fra poco dovrebbero andare sul set. E ci sono ben 90 progetti (da tutta Italia) presentati per l’ultimo bando che aspettano ancora una risposta. «Se sono regolari – ha chiarito Santelli – vanno avanti. Non ho annullato nulla che fosse a norma. Mi sono fermata solo quando nelle carte ho visto qualcosa che non andava».
Sulla scelta visionaria, futuristica di Minoli la presidente non accetta critiche «perché è il maestro della televisione italiana ed è qui perché ha accettato una sfida impossibile».
Due i video dimostrativi sulla futura narrazione della Calabria: il backstage di “Agrodolce” e la strepitosa Anna Foglietta nei panni di Nilde Iotti nella recente docufiction tv.
I primi bandi di “Calabria Lab”, quindi, riguarderanno una serie di docufilm incentrati sulla narrazione di storie di donne che hanno in qualche modo segnato la Calabria con la loro vita. Sullo sfondo compaiono le foto di Adele Cambria, Caterina Tufarelli, Carmelina Montanari, Rita Pisano, «e perché no – ha concluso Jole Santelli raccontare la vicenda – di Giuditta Levato la cui storia è già scritta sulle pareti del Consiglio regionale».
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