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Il fenomeno mafia finirà soltanto se tutti lo vorremo. Morvillo al Festival Trame di Lamezia

«Di memoria fatta di parole in questi trent’anni ne abbiamo vista tanta. Ma quest’anno è successo di peggio perché certi ambienti vicini alla mafia sono stati rilegittimati, riaccreditati in ambito sociale. Persone che hanno scontato pene per reati di mafia sono state “riabilitate” come se nulla fosse successo». Sono le amare considerazioni di Alfredo Morvillo, magistrato e fratello della magistrata Francesca Morvillo uccisa con il marito Giovanni Falcone e agli uomini della scorta nella strage di Capaci del 1992. Alfredo Morvillo è stato tra i primi ospiti a Lamezia Terme nella giornata augurale di “Trame, il festival dei libri sulle mafie”.

Nel corso di un dibattito condotto dal giornalista Gaetano Savatteri – che è stato direttore del Festival – Morvillo ha parlato di «memoria calpestata a trent’anni dalle stragi che scossero Palermo e l’Italia intera». Nelle sue parole lo sconforto e la delusione di vedere gente che ha avuto a che fare con i clan mafiosi, oggi nuovamente in auge. «È facile ricollegare ciò con le elezioni che ci sono state – ha commentato Morvillo – . Uno dei tanti poteri mafiosi è il dominio del territorio attraverso il controllo del voto. Quello che sta avvenendo è un fatto molto grave, provocatorio. In pratica a queste persone non importa nulla delle celebrazioni del trentennale delle stragi. Allora bisogna chiedersi se il sacrificio di tante vite è stato vano o se invece costituisce un valore».

Per Morvillo è fondamentale riscattare queste morti «contro la protervia, la iattanza mafiosa che non ha mai smesso di circolare ma che fino a qualche tempo fa era sottotraccia, mentre invece negli ultimi tempi ha riacquistato sicurezza e spavalderia. Viviamo in un’epoca – ha concluso Morvillo – in cui, a quanto pare, il comportamento di chi è stato vicino alla mafia non comporta giudizio di indegnità morale e sociale. Ma, fortunatamente, c’è una parte di Palermo che crede ancora in certi valori. Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e che come tutti i fenomeni deve avere un inizio e una fine. Io aggiungo che il fenomeno mafia finirà solo se tutti lo vorremo».

Il festival è iniziato con i saluti del direttore artistico, il giornalista Giovanni Tizian, che ha sottolineato: «Celebriamo i trent’anni dalle stragi mafiose in un contesto contemporaneo segnato dal conflitto tra Russia e Ucraina. Guerre differenti, periodi diversi, ma la lotta per i valori e i diritti non si ferma». A dare il benvenuto ad autorità civili e militari anche Nuccio Iovene, presidente della Fondazione Trame, che insieme all’Associazione lametina antiracket ha organizzato il festival con numerosi partners. Il sindaco di Lamezia, Paolo Mascaro, ha centrato l’attenzione sui «tramati», i tanti giovani volontari che, ogni anno, costituiscono lo sguardo sul futuro del festival.

Dopo i saluti di rito, Tizian ha incontrato Patrizia Di Dio, responsabile nazionale legalità e sicurezza di Confcommercio che ha rimarcato il potere infiltrante dell’usura specialmente in questo periodo di grave recessione economica. «L’usura è molto più subdola dell’estorsione perché l’usuraio è quello che ti dà una mano quando tutti gli altri ti chiudono le porte. Oggi – ha sostenuto Di Dio – ci sono almeno 30mila imprese a rischio usura. A Palermo, in questi anni, lo Stato ha dato risposte importanti e concrete, tanto che è la città italiana con più anticorpi contro la mafia». Per l’esponente di Confcommercio «bisogna evitare l’antimafia parolaia e costruire ovunque le condizioni perché si sviluppino gli anticorpi che si sono radicati a Palermo. Come Confcommercio promuoviamo la cultura d’impresa e chiediamo che chi denuncia il potere malavitoso venga adeguatamente accompagnato in questo coraggioso percorso».

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