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Emanuele Trevi ci porta dentro «La casa del mago»

Lo scrittore, calabrese di madre, aprirà oggi l’ «Estate a Casa Berto»

Che corpi celesti, i padri. In orbita lassù, dove possiamo vederli e non vederli, saperli e non saperli, scrutarli con apprensione: quale marea, quale corrente, quale fenomeno susciterà, passando? Come sono luccicanti, eppure oscuri; come sono impenetrabili, anche se abbiamo vissuto accanto a loro per anni, e sappiamo di saperne ogni cosa. Tranne forse l’essenziale. Ma di chi possiamo dire di saperlo? Non c’è forse in ognuno di noi un nocciolo oscuro ignoto a noi stessi? E che gli altri ci diano o no un appiglio, possiamo dire di conoscerli davvero? Così, l’oggetto infinitamente sconosciuto in «La casa del mago» (Ponte alle Grazie), il nuovo romanzo di Emanuele Trevi, scrittore per metà (materna) calabrese e alla Calabria molto legato, premio Strega nel 2021 con «Due vite» – che oggi alle 19 inaugurerà a Capo Vaticano l’VIII edizione di Estate a Casa Berto – , è il padre, il mago del titolo. Mario Trevi, noto psicanalista junghiano, scomparso nel 2011, “mago” della psiche, o mago come nelle filastrocche dei bambini – le insegna al personaggio narrante Trevi la bella prostituta peruviana Paradisa, donna che non interroga mai l’esistenza ma si limita a goderne, con un appagamento istintivo e placido che spegne ogni inquietudine, ogni domanda.

Un padre-mago con ignoti strumenti, ignoti pensieri, certe “assenze” e svagatezze, o meglio una programmatica, costitutiva “diserzione” dal reale che è leggenda familiare (apre il libro l’intercalare materno: «Lo sai com’è fatto»). E il figlio-scrittore che va a vivere nella «casa del mago» dopo la sua morte, e presto si rende conto d’essere, piuttosto, «il curatore e custode» del museo paterno, di cui il romanzo è «una specie di catalogo ragionato».
Ne ha lasciate di cose, lì dentro, il mago: quaderni fittissimi, disegni sorprendenti (in copertina è uno dei “mandala” che componeva con pazienza: la scrittura e il disegno come esercizi opposti, di consistenza ed “evaporazione”, di consapevolezza della morte e di elusione dell’Io e della morte, di essere e non essere). Sassi levigati. Un’immensa scrivania di legno, attorno alla quale avvenivano le “magie”, le guarigioni. E libri, ovviamente, con la loro natura di bussole e mappe e oracoli, da Jung (nel caso più emblematico, la paziente mai incontrata, Miss Miller) agli I King.
E c’è una persistenza del padre, una sorta di campo magnetico che non si vede ma si avverte, e rende la casa invendibile, fuori mercato. E che attira, per quei processi inconoscibili che solo la psicanalisi ambisce a lambire e talora modificare, proprio quel figlio che non chiede e non investiga, che “s’accontenta” (come se non lo sapessimo, che l’altro “mago” è lo scrittore, colui che maneggia una materia parimenti oscura e traditora, ma da cui possono sgorgare istanti di lucente bellezza e verità).
Con quella sua prosa morbida e lieve, apparentemente svagata, soffusa come del sorriso d’un Ermes, dio dei mutamenti che sembra il nume tutelare di queste pagine, ermetico ed ermeneutico assieme, Trevi si muove trasognato fra gli oggetti e gli accadimenti del “museo” – quelli prosaici, come le incursioni della Degenerata, colf peruviana portatrice non di ordine ma di caos; quelli misteriosi, come i passaggi notturni dell’ignota Visitatrice, simile a uno spiritello della casa che nasconde gli oggetti e accende le luci a suo piacimento – e ci mostra, parallelamente, la sostanziale inutilità delle investigazioni attorno alla natura di chi amiamo (o di chiunque altro, in effetti), visto che «noi non siamo né veri né falsi» (e questa è una verità), ma possiamo solo risplendere, per qualche attimo, come i sassi levigati con pazienza infinita dal padre, come le pagine attentamente composte dal figlio. Partendo dalla materia più comune, sorda, banale: i sassi della spiaggia (calabrese), le parole. Rubati «alla rabbia e alla fame del tempo», messi in salvo, guariti. Vicini, persino, presenti oltre lo spazio e il tempo e la morte.
Eccola, la magia di cui vivere.

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