
Rey Sciutto, all'anagrafe Remo Sciutto, è un divulgatore di storia dell'arte nato nel 1997 a Pizzo (in provincia di Vibo Valentia) e attualmente residente a Bologna. Laureato in DAMS e in Arti Visive all'Università di Bologna, ha sviluppato una particolare passione per il Medioevo, ispirata anche dall'incontro con il professor Alessandro Barbero durante il liceo e approfondita con il docente Fabrizio Lollini durante gli studi universitari.
Sciutto ha iniziato la sua attività di divulgazione nel 2018 su YouTube con il canale "AllRey". Tuttavia, è stato su TikTok e Instagram che ha ottenuto un ampio seguito, superando i 500.000 follower. Con uno stile ironico e accessibile, racconta curiosità e aneddoti sull'arte, con un focus particolare sul periodo medievale e moderno .
Nel 2024 ha pubblicato il suo primo libro, "Michelangelo non è una tartaruga", edito da Mondadori-Electa, in cui esplora curiosità e segreti della storia dell'arte, collegando passato e presente . Nello stesso anno, ha vinto la prima edizione del quiz televisivo "The Floor", condotto da Ciro Priello e Fabio Balsamo dei The Jackal . Parte della vincita è stata donata per il restauro di un dipinto di Mario De Maria al Museo Ottocento di Bologna .
Oltre alla divulgazione artistica, Rey Sciutto è attivo nella promozione dei diritti civili e dell'inclusività, utilizzando i suoi canali per sensibilizzare su tematiche LGBTQIA+. Con il suo approccio innovativo e coinvolgente, Rey Sciutto rappresenta una figura di riferimento nella divulgazione culturale contemporanea, avvicinando un pubblico giovane e variegato al mondo dell'arte. Nei giorni scorsi è stato a Tropea, ospite della rassegna letteraria "Paride" curata dall'archeologo Dario Godano, e abbiamo approfittato per una bella chiacchierata con lui.
Cosa vuol dire essere un divulgatore di storia dell’arte? E come hai trasformato un hobby nel tuo lavoro?
“In realtà non l’ho quasi mai preso come un hobby, nel senso che quando ho cominciato un po' per gioco già la volontà di farne un lavoro c’era. Ovviamente quando ho iniziato nel 2018 con il primo canale “All Rey” (non è più online) non avevo ancora le idee chiare, ma avevo già in mente che questo poteva essere il mio percorso. Essere un divulgatore di storia dell’arte lo considero essere un novelliere migliore rispetto a quanto possa essere un esperto nel campo. Nel senso che finchè una persona assimila un concetto, lo fa proprio e riesce a raccontarlo meglio dell’esperto, allora si può considerare tranquillamente un divulgatore. Io faccio sempre l’esempio di Piero Angela che non era un ingegnere, non era un medico, non era uno scienziato, né tantomeno uno storico, però lo ricordiamo per tutte queste materie che negli anni ci ha raccontato magistralmente. Quindi, io non mi ci metterei mai ovviamente nel raccontare la terza legge di Newton, però quello che ho studiato praticamente per più di 15 anni, lo faccio con passione e voglia. Per cui il divulgatore è questo, un novelliere, nonché un custode della memoria popolare, nel senso che dovrebbe rendere popolare e culturale un determinato settore specifico”.
Come è nata la scelta di andare a vivere a Bologna? Hai scelto questa città per arrivare a questo obiettivo? O cos’altro?
“La scelta di Bologna è stato del tutto casuale. Nel senso che quando mi sono diplomato al Liceo artistico avevo qualche idea, ma era confusa. Mi piaceva Filosofia, Storia dell’Arte, valutavo l’Accademia di Belle Arti, quindi Roma, Firenze, ma non ero preso al 100% da nessuno dei percorsi che potevo fare. Quindi spulcio un pochino su Internet e scopro non Bologna, ma il corso del DAMS che sta per Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo. Scopro che è stato inventato nell’anno accademico 1971 e scopro che a Bologna tra i fondatori c’era Umberto Eco. E quindi vado a vedere che corsi offrono a Bologna: mi piacciono tutti, mi informo un pochino su Bologna in generale come città e dico: io voglio vivere qua per sempre e ci vivo da quasi dieci anni”.
Quanto è difficile, se lo è stato, vivere fuori casa a Bologna da studente fuori sede? Abbiamo letto che per un periodo hai anche lavorato come rider. Oggi per un giovane, con gli affitti aumentati a dismisura, quanto è difficile stare fuori e vivere in una città come Bologna?
“Vivere a Bologna non è difficile. Per me Bologna non è una città, ma è uno stato d’animo. Chi va a Bologna, torna molto cambiato. Stabilirsi in una città come Bologna è già invece molto più difficile perché il principale problema è il mercato immobiliare e i prezzi sono davvero improponibili. Ho conosciuto gente che dopo aver passato dei test universitari, aveva finito le pratiche per l’immatricolazione e aveva cominciato a frequentare le lezioni, ha abbandonato perché non aveva casa e non era riuscito a trovare un affitto stabile e umano come prezzi. Io sono rimasto un mese senza casa: non appena mi ero immatricolato, sbattuto da un B&B e l’altro tra uno zaino e una valigia ed è stato provante quel periodo e proprio in quella fase ho iniziato a perdere considerevolmente i capelli. A parte ciò, è molto dura in generale e se non si ha la forza psicologica di conciliare studio e lavoro spesso e volentieri bisogna rinunciare. Io sono stato fortunato perché la mia famiglia ha finanziato i miei studi fino all’ultimo e quando ho detto a mio padre che volevo fare il rider a 19 anni mi ha fatto un cazziatone che ancora ricordo. Qualche anno dopo di nascosto ho ripreso a fare il rider. Credo sia meglio trovare un piano B, economicamente più a portata di mano. Ma l’importante è seguire la strada, lo studio, la vocazione prediligendo la felicità prima ancora che il profitto futuro senza rimanere schiavi del capitalismo”.
Entriamo nella dimensione social: quanto è difficile trovare sui social un profilo dove si parla di arte e cultura? E’ così? E come ci si trova a gestire i social in questo contesto?
“Allora parlo per l’esperienza che ho vissuto e sto vivendo. Campando di questo e facendo il divulgatore, la mia bolla social, l’algoritmo mi propone dei profili social su questo argomento soprattutto su Tik Tok. Profili come il mio ce ne sono tantissimi, anche con numeri più importanti e con una storia alle spalle ben costruita. Se invece spostiamo l’attenzione su un 18enne o su 50enne ti dirà che sui social troverà tendenzialmente altro: è la maniera, il “difetto” in cui sono stati strutturati questi social con il formato verticale dei noni sedicesimi. Non scegli il contenuto, ti viene bombardato, ti viene proposto. Non sei tu a dire, come YouTube per esempio, ah che bello qui c’è il video di Joe Pope in cui si parla della Statua della Libertà, fammelo vedere. Sugli altri profili tu vai, scrolli, sempre più giù fin quando non ti stanchi e se ogni tanto ti capita il video di Joe Pope allora magari sei in quei fatidici tre secondi dei primi tre secondi di video in cui ti cattura l’attenzione, ti fermi e lo guardi. Ma è tutta una questione di fortuna nella maggior parte dei casi per i profili di divulgazione”.
Nel corso del tuo percorso universitario hai pensato più volte anche di voler fare il ricercatore. Avevi molti requisiti, ma come tu stesso hai affermato ti mancava quello delle pubblicazioni. Questa strada ormai è chiusa, o rientra ancora nei tuoi obiettivi?
“Diciamo che ho cambiato le persone che voglio impressionare. Nel senso che prima era la Commissione che mi doveva accettare il progetto di ricerca sul dottorato, adesso sono tutti in realtà o comunque chiunque abbia voglia di ascoltarmi. Sinceramente mi diverto molto di più, studio quello che voglio io, non quello che mi impone il tutor o il professore. Non c’è il rischio come succede purtroppo a tanti miei colleghi ed ex colleghi molto preparati che potrebbero meritare molta più visibilità e molta più attenzione da parte degli accademici, non c’è il rischio di finire, come spesso accade, a fare il portaborse. Adesso, nonostante fosse all’inizio un piano B o un contorno, non mi dispiace per niente anche in virtù di quanto è difficile entrare nell’ambiente accademico. Non mi manca e non mi andrà più di riprovare ad entrare in quel mondo, nonostante per come sono fatto se ci sbatto la testa 1-2 anni forse ce la potrei fare. Ma ora come ora è una cosa che ho messo completamente da parte e preferisco il contatto della gente. Mi manca studiare, questo sì nel senso che studiare per l’esame e provare a me stesso che le cose le ho assimilate per bene, quello un po' mi manca. Ma in generale il fare ricerca in maniera vincolata no, non è più un mio desiderio”.
Qual è la giornata tipo di Rey Sciutto? O comunque di una persona che vive parecchio del suo tempo sui social a creare il contenuto giusto? Come funziona?
“Rey Sciutto quando non deve omologarsi alla vita delle persone normali, quindi quando non deve lavorare in pubblico, si sveglia alle cinque e per cinque intendo del pomeriggio. Fa colazione mentre gli altri fanno aperitivo, si siede alla scrivania, prepara i testi per il podcast giornaliero, finisce, monta, pubblica. Quando gli altri stanno cenando, Rey Sciutto sta pranzando e finito di pranzare si mette o a scrivere monologhi o a preparare gli altri video per i social o si concentra sulla parte amministrativa, scrive contratti, prepara le fatture o altre cose per il rapporti con i clienti e con le varie collaborazioni. Quando poi invece le persone normali stanno facendo colazione, Rey Sciutto sta cenando. Finisce di cenare, fa un’abbuffata di “The Walking Dead” e quando si stanca va a dormire”.
Gestisci tutto da solo? Perché oltre alla creazione di contenuti hai parlato anche di aspetti amministrativi
“Attualmente sì perché non ho i fondi per delegare queste mansioni a qualcuno. Quando ce li avrò non sarebbe male avere un supporto. Recuperare un po' di salute mentale e di sonno un futuro non mi dispiacerebbe”.
Come sei arrivato a “The Floor” e che esperienza è stata?
“Stavo ancora con la mia vecchia agenzia che mi dice che c’è il provino per questo quiz televisivo di cui però non sappiamo nulla: né il format, né la testata, nulla. Tutto era top secret e decidiamo di fare questo provino nonostante io fossi molto titubante. Siccome si parla di un quiz per me che faccio il divulgatore era un’arma a doppio taglio. O mi dava la possibilità di consolidare le mie competenze pubblicamente, oppure di spararmi una figura di m.... a livello nazionale. Dopo che capisco la tipologia di domanda impostata più sulla velocità che sulla cultura generale, lo faccio. E’ stata un’esperienza molto stancante, più puntate da registrare ogni giorno negli studi di Torino e molte persone arrivavano psicologicamente molto provate e io tra queste. Alla fine aver resistito ha ripagato in un certo senso e quindi tutto sommato un’esperienza positiva. Poi ovviamente con la vittoria di mezzo puoi immaginare la felicità per me”.
Perché hai deciso di destinare parte del budget che hai vinto in beneficenza e a chi lo hai destinato?
“Lo dissi in trasmissione e lo ripeto. Secondo me la felicità se non è condivisa è nulla. Lo destinai al Museo Ottocento di Bologna: è un Museo giovanissimo con due anni di vita e ho dato una parte del premio di “The Floor” per il restauro di un quadro di Mario De Maria Maria: perché in un’Italia in cui si spende lo 0, in cultura e istruzione, un gesto che è una goccia nel mare come il mio, spero possa essere da esempio per chi riesce a recepirlo e mi sembra fondamentale soprattutto per un Museo No profit. Una realtà in cui tutti i fondi che ricava dalle vendite sono destinati a finanziare delle borse di studio per delle lauree magistrali sull’800 bolognese. Quindi se ci fossero realtà come queste, se fossero sostenute di più dallo Stato, di sicuro saremmo un paese migliore”.
Qual è il grado, se si può misurare, di maturità, di sentimento che vedi nel dialogo con i tuoi follower sui social e sia dal vivo quando partecipi agli eventi in cui ti invitano?
“A Tropea c’erano molti curiosi e per me è un buon segnale. In generale il Sacro Calabro Impero, che tutti confondono con la Regione Calabria, è la community più bella e affettuosa del mondo. Il grado di rispetto e di affetto che c’è nei miei confronti è davvero bello e non so quanti influencer possano vantare questa cosa. C’è proprio un rapporto sano e l’ho scoperto l’anno scorso quando ho pubblicato un reel in cui comunicavo il fatto di prendermi una pausa. Le interazioni e i commenti di sostegno sono stati uno scaldacuore fantastico. Su Facebook ci sono le persone dai 35 ai 60 anni, su Instagram invece più o meno tra i 25 e i 35 anni e su Tik Tok i giovanissimi e il grosso della community è lì su Tik Tok”.
Abbiamo parlato di Bologna. Una città, come possiamo dire, con un’apertura mentale diversa rispetto ad altre realtà, soprattutto del Centro-Sud. Come vivi questa situazione qui? Oggi sei ovviamente proiettato a vivere la tua vita lì. Lo vedi ancora nel futuro, o magari c’è la possibilità di un tuo ritorno qui in Calabria?
“Attualmente in tutta onestà il mercato del mio lavoro mi porta a stare a Bologna, soprattutto perché non sono Brunori Sas che si può permettere di stare a Cosenza. Non sono a questi livelli e quindi strategicamente mi conviene stare lì. Ma non escludo un ritorno a casa. Ora sono talmente innamorato di Bologna e dell’Emilia Romagna che non ho in mente di tornare nell’immediato futuro in Calabria”.
Se e quanto ha influito il patrimonio artistico-culturale della regione in cui sei nato e cresciuto nell’immaginazione e nell’implementazione del tuo percorso?
“A malincuore poco nel senso che comunque è la caratteristica di ogni Università, se vai nell’ambito accademico ed umanistico ci si concentra sulle opere e sui contesti di quel periodo là. Se mi chiedessi di parlare di Carracci ok, mentre possiamo intavolare un discorso diverso con meno informazioni su Mattia Preti. Sono due pittori dello stesso periodo, ma fa la differenza. Dipende dal percorso e da quanto viene offerto a livello accademico. Io ho cercato di avere una visione un po' più ampia rispetto al solo mero contesto emiliano-romagnolo, ma all’Università quello si studiava principalmente. Quando ho fatto gli esami di storia dell’Arte contemporanea a nessun professore è venuto in mente di dirmi che Renoir molto probabilmente è passato dalla Calabria e ci ha lasciato un affresco”.
Ci sono altri giovani della tua età che in qualche modo lavorano sulla tua stessa scia? O rappresenti un’unicum?
“Allora, l’unicum che mi posso attribuire è il fatto di essere l’unico uomo nel senso che a livello di divulgazione storico-artistica tutti gli altri profili sono di donne. Ci sono divulgatori anche molto più giovani di me, ma sono donne. Non credo sia una coincidenza, perché ad esempio su Instagram la maggior parte del pubblico che mi segue è femminile. Non so è perché c’è un interesse particolare del genere femminile, ma è un dato”.
Abbiamo visto Rey Sciutto nei panni di divulgatore di storia dell’Arte e come fondatore del Sacro Calabro Impero. Ora il Rey Sciutto di domani come lo possiamo immaginare?
“Non ho la benchè minima idea. Se mi avessi fatto questa domanda quattro anni fa quando ero agli inizi ti avrei detto che da grande avrei voluto fare lo youtuber. Sto cercando di portare tutt’ora avanti il canale YouTube, ma attualmente oltre a ciò e al podcast non mi dispiacerebbe un’esperienza televisiva con un programma proprio mio. Spero non in questa Rai, nel senso se dovessero darmi un giorno un palinsesto tutto mio non sia questa Rai qui. Sarebbe bello provare e vedere se me la cavo e se riesco a farlo. Sennò cambio, come faceva la Carrà ai tempi suoi. Poi da adesso in avanti probabilmente mi si vedrà più spesso off-line, spero vivamente di riprendere il mio primo ed unico spettacolo e replicato una sola volta al teatro Bello di Milano che si chiama “Le vite de Merda”, tratto dalle vite dei più eccellenti pittori e scultori e architettori di Giorgio Vasari. Quando lo riprenderò vi farò sapere”.
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