L’idea di Mater, il progetto musicale che presenterà sabato 12 ottobre sul palco del Teatro Politeama a Catanzaro nell’ambito del XXI Festival d’autunno, insieme ad altri due musicisti straordinari quali Trilok Gurtu e Omar Sosa, è sua e Maria Pia De Vito, eccezionale vocalist napoletana, ci tiene a spiegare quale sia il fil rouge alla base dell’intero lavoro.
Come nasce il progetto Mater?
In realtà lo scorso anno fu Omar a contattarmi. Ci eravamo incontrati in vari festival e lui aveva sempre manifestato il desiderio di fare qualcosa insieme, per cui ci siamo visti e abbiamo pensato che sì, potevamo farlo. Mi ha subito parlato di Trilok Gurtu che è un maestro, conosco la sua musica da decenni, anche lui lo avevo già incontrato a dei festival, e allora abbiamo cominciato a raccogliere del materiale comune. Però, pensando al mettere insieme delle culture così forti, come quella cubana e la musica indiana che ho avuto modo di frequentare molto in passato (ho anche fatto dei progetti con la grande cantante indiana Ramamani Ramanujan, quindi conoscevo già i konnakol e i raga – rispettivamente una forma di arte ritmica vocale del sud dell’India e delle particolari strutture musicali tipiche della tradizione indiana, ndr), allora ho pensato che il filo rosso che collega queste cose è più in profondità.
Qual è questo fil rouge?
In questa fase del mio lavoro, in cui ho omaggiato in più modi lo spirito femminile, ho pensato proprio all’idea della dea madre: le prime tracce archeologiche, di statue di tipo votivo, sono tutte di donne madri, con corpi voluminosi, che parlano di una venerazione della donna come creatrice di vita. Avevo già molte letture in merito a mia disposizione, e approfondendo, mi sono resa conto che quando c’era il culto della dea madre non c’erano guerre, non c’era il commercio ma il baratto, non ci sono rappresentazioni rupestri di uccisioni di animali o esseri umani; quindi ho pensato che questa è una traccia così profonda e bella e che possiamo trovarla nelle tante divinità indiane, della fecondità, della creatività, e poi ancora con le Orishas, le dee della Yoruba dei culti cubani, e ho pensato anche alle nostre Mater Matuta di Capua, a queste venerazioni come per la Madonna nera che è una madonna accogliente che non rifiuta nessuno. Mi è sembrata una traccia molto bella, ne ho parlato con Omar e ci siamo messi subito al lavoro: ho scritto dei testi, ho trovato un brano bellissimo del grande percussionista siciliano Alfio Antico, “Si ti virissi” (Se ti vedessi), mi è sembrato tutto molto adatto in un momento in cui sembra si vada avanti per la parità di genere, ma si va indietro con tutti i femminicidi e le cose orribili di cui le donne possono essere vittime, poi ancora di più in questo momento con tutte queste guerre insensate, come solo le guerre possono esserlo. La cosa si è messa insieme quasi da sola, conversando su questi temi, quindi abbiamo deciso di operare in questa direzione.
Lei ha collaborato con musicisti di levatura straordinaria, come Gurtu e Sosa. Quanto ha influito in questo l’essere donna?
In realtà in quanto musicista non mi sono mai posta problemi in merito al mio essere donna e a confrontarmi con musicisti uomini. È tutto già connaturato in me, è un riflesso della nostra natura, ovviamente ho la mia natura femminile, strettamente intrecciata col maschile in un rapporto fecondo e produttivo per tutta la vita: ho collaborato soprattutto con musicisti maschi con un grande scambio e soprattutto con questo senso intimo di parità che c’è specialmente nella musica Jazz, d’improvvisazione. Nel momento in cui ci si scambia, si dialoga sul palco tra pari, non c’è uno che accompagna e l’altro che è avanti, non è mai così, è sempre un dialogo, sempre paritario. Come donna c’è sicuramente la mia esperienza femminile che entra nella musica, ma non è un elemento che si deve portare avanti per forza, per principio, perché è nelle cose. Quando si può lavorare in uno stato di parità, il maschile e il femminile fanno parte della natura, vivono insieme, non entrano in conflitto: sono quelli che cercano le cosiddette purezze e divisioni che creano i problemi. La natura è già perfetta, contempla tutto, non esistono concetti di normalità e anormalità, è tutto normale, è tutto natura.
Cos’è il Jazz per Maria Pia De Vito?
È una disciplina di approfondimento della musica e di conoscenza profonda e di allenamento della propria voce individuale, per improvvisare. È una musica evolutiva, vengo da molti anni nella prima fase jazzistica, di approfondimento del Jazz americano, degli standard, del bebop, di tutto quello che è necessario a formarsi, ma poi, è proprio la natura stessa del Jazz, come dice Monk: il genio è colui che assomiglia più a se stesso. Io certo non mi considero un genio però cerco di fare una musica in cui riconosco me, le mie ricerche, i miei interessi, è una bellissima pratica.
Cosa dobbiamo aspettarci dal concerto del 12 ottobre?
Dovete aspettarvi una grande carica di divertimento di scambio improvvisativo, un grande display di ritmo nelle sue declinazioni, si può immaginare tra Napoli, Cuba e India cosa può succedere, ma anche lirismo e poesia. Ci sono anche dei testi originali che ho scritto in napoletano sui brani, insomma una mescolanza paritaria, ecco.
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