«Al dolore e alla rabbia di questi giorni si aggiunge lo sconcerto per la notizia secondo cui il Sindaco Abramo incontrerà oggi l’on. Traversa per programmare interventi di manutenzione e prevenzione nel parco della biodiversità. Non si può non pensare, infatti, che quegli stessi interventi che oggi vengono considerati necessari non sono stati valutati tali fino a ieri per la pineta di Siano e che di questo il Sindaco dovrebbe chiedere scusa alla città (come dell’improvvido comunicato che annunciava nella serata del 10 agosto che l’incendio era domato: di chi è la colpa di quel grave errore?)». È quanto si legge in una nota diramata da Cambiavento. «Si fossero consultati per tempo agronomi, forestali e botanici si sarebbe appreso, ad esempio, che i pini mediterranei - prosegue la nota di Cambiavento - sono particolarmente apprezzati nei rimboschimenti nelle fasce costiere e collinari del nostro territorio perché sono piante che si adattano bene a tutti i substrati, hanno una crescita relativamente veloce e forniscono una copertura arborea nell’arco di pochi anni. Tuttavia si tratta di specie esotiche, non appartenenti alla flora autoctona, che si sono evolute, nei rispettivi areali di origine, per colonizzare velocemente substrati difficili, vincendo la concorrenza di altre specie meno competitive. Pur senza considerare che possono dare origine a pericolosi fenomeni di bioinvasione, una seria minaccia alla biodiversità nativa, la maggiore criticità di tali specie consiste nel fatto che – spiegano i tecnici – tra le altre caratteristiche che hanno evoluto per prosperare nei climi aridi, c’è la capacità di bruciare rapidamente. Sì, avete capito bene. Bruciando velocemente ed a bassa temperatura, infatti, le piante adulte perdono la chioma, ma i tessuti sottostanti rimangono vitali, e producono presto nuovi rami e foglie. È esattamente per bruciare più in fretta, assieme ad altre ragioni, che certe specie producono abbondanti resine (pini) ed olii essenziali (eucalipti), composti altamente infiammabili. E se qualche esemplare adulto muore, viene presto rimpiazzato dalle plantule prodotte dai semi germinati proprio grazie al passaggio del fuoco. Utilizzati fuori dal loro areale, nello specifico a Siano (ma avrebbe potuto essere anche Giovino o altrove), e senza il reiterarsi periodico di incendi a bassa temperatura, queste piante tendono ad accumulare lettiera e biomassa combustibile che, quando si incendia, brucia ad alte temperature, uccidendo gran parte degli alberi adulti. Inoltre, se è vero che le specie esotiche possono essere invasive, è anche vero che spesso, in ambienti diversi dal proprio non producono semi vitali. Quindi nessun rinnovo naturale». Ecco perché Cambiavento ribadisce, «una volta per tutte, che le specie native della macchia mediterranea – quella che colonizza spontaneamente le nostre coste e colline – resistono piuttosto bene al fuoco, e spesso sono perfino in grado di ricacciare nuovi germogli dopo l’incendio, e quindi, a partire da organi sotterranei che resistono al passaggio del fuoco, ricreare spontaneamente una copertura forestale. È esattamente il tipo di processo ecologico che occorrerebbe, con la necessaria consapevolezza ecologica e competenza tecnica, promuovere a Siano. La parola-chiave è "rinaturazione", ovvero il ripristino di condizioni di naturalità, almeno nelle aree percorse dal fuoco. Rimosse le biomasse legnose lasciate dall’incendio, già nel prossimo autunno si dovrebbero mettere a dimora un numero adeguato di piantine appartenenti a specie autoctone. L’origine delle piante da utilizzare (germoplasma autoctono), e non solo la specie di appartenenza, ha la sua notevole importanza. Le piante devono essere geneticamente compatibili con l’area in cui vengono utilizzate. L’urgenza dell’intervento è dettata, ovviamente, dal rischio di dissesto idrogeologico sempre possibile su questi ripidi versanti. Allora quali sono le specie giuste da inserire in sostituzione dei pini distrutti dall’incendio? Ci sono senz’altro vari fattori da considerare, con il livello di dettaglio necessario a garantire, questa volta, una vera progettazione ecosistemica, l’unica capace di garantire sostenibilità e resilienza delle formazioni forestali. Altrimenti corriamo il rischio di ricadere negli errori del passato. Lecci, querce e soprattutto sughere – già presenti nell’area – appaiono le specie arboree apparentemente più adatte allo scopo. E allora, chissà che fra qualche anno non entri nel linguaggio comune dei catanzaresi l’espressione “La Sughereta di Siano” segno, per una volta, di una scelta politico-amministrativa indirizzata davvero al bene comune e di una coscienza ecologica collettiva finalmente più matura e informata».