Nell’approntare una campagna elettorale non si possono perdere di vista i numeri. Chi si occupa di politica (nello specifico della fase elettorale), sa bene che la matematica deve obbligatoriamente far parte del proprio bagaglio culturale. Perché si governa grazie ai voti dei cittadini raccolti nelle urne e, numeri alla mano, Catanzaro non solo non fa eccezione alla regola, ma addirittura la sublima dal momento che è praticamente una costante: se il candidato sindaco riesce a ottenere almeno 26mila voti, la vittoria è assicurata già al primo turno. Il ragionamento è verificabile sullo storico delle elezioni che hanno caratterizzato il capoluogo di regione negli anni ed è confermato anche dalla sfida a tre (Olivo, Cimino, Tassone) del 2006 e da quella del 2017 (Abramo, Ciconte, Fiorita), uniche occasioni della storia recente del capoluogo in cui si andò al ballottaggio proprio perché il fronte frammentato spacchettò i voti delle liste distribuendoli tra i candidati senza che nessuno dei tre raggiungesse quota 26mila voti. Al netto del calo demografico, della sempre crescente sfiducia nella politica e delle limitazioni imposte dalla pandemia, la “quota vittoria” che gli schieramenti si sono dati per il 2022 è attorno ai 25mila voti.Su questi numeri ragiona soprattutto il centrodestra catanzarese che, per tradizione, è lo schieramento cittadino storicamente più vicino a queste cifre. Nel centrosinistra l’impresa fu sfiorata solo da Salvatore Scalzo nel 2012, quando il candidato sindaco ottenne più di 24mila voti trainando anche le sue liste che si fermarono a 18mila. Partita già chiusa prima di cominciare, quindi? No, tutt’altro. Perché se nel caso di Scalzo nel 2012 (e anche nel 2011) la variabile del voto disgiunto fu poco influente (Traversa e Abramo vinsero al primo turno essendo gli unici veri avversari di Scalzo), nella situazione attuale potrebbe esserlo molto di più.
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