San Valentino è alle porte e, spesso, ci si interroga sul senso di questa festa divenuta sempre più commerciale e priva di sentimento. Ma riflettiamo per un istante. Chi, da adolescenti, non ha idealizzato l'amore, sperato in quello eterno e creduto fermamente alle parole “finché morte non ci separi”? Sicuramente tutti, almeno una volta. Alfredo Belmonte e Annunziata, detta Titina, Munì, rispettivamente, classe 1930 e 1929, si sono conosciuti negli anni '40 quando avevano circa 12 anni. «Eravamo due ragazzini – ricorda Alfredo - Abitavamo vicino alla chiesa del Rosario. Lei era una borghese, il babbo, come lo chiamava lei, faceva il funzionario di banca; io ero un figlio del popolo, appartenevo ad una famiglia molto modesta, mio padre era ferrotranviere, come si diceva un tempo. Io ero un bel tipo, mi giravano intorno tante ragazze ma lei si è saputa difendere, era piccolina e carina. I genitori di Titina non volevano che ci frequentassimo ma, dopo, mio suocero è diventato il mio più agguerrito sostenitore». Altra storia, altro tuffo nel passato. Loro sono Mario Forlone e Concetta Villelli. Lui lavorava nel salone di bellezza del padre, il noto Carlino. Concetta era una sveglia, andava in una bottega ad imparare il mestiere della sarta ma non era per lei, non riusciva a stare seduta e disse “vado a trovarmi un altro impiego”. Su Corso Mazzini, di fronte il bar Colacino, sulla porta del centro estetico vide Carlino e in modo sfacciato si propose per lavorare. «A 17 anni divenni un cigno e Mario, che tagliava i capelli col papà, iniziò a farmi delle avances, anche se lui mi era indifferente. Iniziammo a vederci di nascosto, mi conquistò e poi ci sposammo».