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Lamezia, celebrato il “Giubileo Diocesano insieme alle persone con disabilità”

“Voi che siete assistiti da altri, in realtà, con la vostra testimonianza e con la vostra vita, spingete dentro la storia proprio noi: siete voi che ci portate in avanti, siete voi la nostra forza. Ognuno di noi ha sperimentato, almeno una volta nella propria vita, che da una vostra testimonianza, dallo sforzo di vivere, dall'incombenza di dover affrontare la vita, viene il sorriso più bello”. Potrebbe essere racchiuso in questa riflessione il messaggio che il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, ha rivolto alle persone presenti ieri sera sul Corso Numistrano per partecipare al “Giubileo Diocesano insieme alle persone con disabilità” che ha registrato la presenza di centinaia di fedeli per questo momento di forte spiritualità, ma anche di condivisione e di gioia, oltre che di profonda commozione.

“Voglio rivolgere, innanzitutto, a voi un pensiero di gratitudine – ha detto il Vescovo rivolgendosi ai presenti -: a voi che questa sera siete qui a testimoniare, pur dentro la complessità della vita e delle problematiche che ci sono, a tanti livelli, la forza che ci mettete per vivere, per affrontare, nonostante tutto, le difficoltà, per non darla vinta agli eventi negativi. Voglio ringraziarvi perché siete qui a testimoniare la speranza che è questa virtù cristiana, questa forza, questo principio vitale che ci spinge ad andare avanti. E anche quando qualcuno non lo può fare con le proprie forze, la bellezza sta nel trovare un altro che si dedica a lui o a lei perché questa difficoltà di muoversi, di relazionarsi e di vivere possa essere in qualche modo superata”.

“Poi – ha affermato monsignor Parisi rivolgendosi agli accompagnatori ed ai numerosi volontari delle varie associazioni che operano sul territorio -, l'altro pensiero lo rivolgo proprio a voi che siete continuamente a fianco di queste persone. Voi sapete che nella Bibbia c'è una immagine molto forte che è quella del cireneo che - ci dice il testo del Vangelo – tornava a fine giornata stanco dai lavori che aveva fatto e, nonostante la sua stanchezza, come a volte la vostra stanchezza, porta per un tratto la croce di Gesù sulle sue spalle, condivide la croce, rende meno pesante la croce dell'altro. E io davvero vorrei ringraziarvi perché ci siete con la vostra passione, con la vostra dedizione, con la vostra cura e con la vostra preoccupazione che, però, questa sera vorrei proprio chiamare, sul versante positivo, la speranza. Immagino la preoccupazione di una mamma che si prende cura del proprio figlio, che diventa una persona che vive una maternità amplificata, perché partorisce una vita e, poi, a questa vita deve dare ancora assistenza come se si trattasse ancora del seno materno all'interno del quale si trova possibilità di vita, cura, tenerezza. Immagino che per una mamma quello che è stato definito il ‘dopo di noi’ abbia delle note anche di angoscia. Perché pensare che cosa sarà, come sarà, dove sarà, con chi sarà la vita di mio figlio, o comunque di questo mio caro, è davvero un pensiero forte. Come si può vivere questo pensiero? Certamente nella passione, nell'attaccamento”.

Da qui la sollecitazione “a delle politiche sociali capaci di farsi carico del presente e dell'avvenire di queste persone che chiedono di vivere con la dignità che hanno dall'inizio - ha sottolineato il Vescovo -: quella che il Signore ha impresso facendo l'uomo a sua immagine e somiglianza. E questa difficoltà, questa angoscia, questo pensiero per il futuro, questa sera mi piace declinarlo come speranza. La speranza, cioè, di un futuro migliore, possibile. Però, la speranza è anche costruzione della storia con il nostro impegno, modellando il mondo secondo il cuore di Dio. E allora la speranza del futuro è costruzione del futuro, è impegno quotidiano perché questa prospettiva di stabilità, di serenità per il tempo che arriverà, e che sarà dopo di noi per queste persone, possa essere una realtà”.

Prendersi cura dell’altro come fa il Signore con ciascuno di noi, quindi, e che “significa farsi carico della vita dell'altro, rendersi responsabile del presente dell'altro, ma, al tempo stesso – ha concluso monsignor Parisi -, significa rendersi responsabile dell'avvenire della persona che ha bisogno di me” perché “dentro un'esistenza sofferta c'è una persona che vive, che vuole vivere, che deve vivere, scomodandoci dai nostri accomodamenti. È questa la testimonianza che io colgo da voi e faccio rimbalzare su di me e su tutti i credenti. Che la vostra vita sofferta sia davvero di stimolo alla nostra passività e possa fare gioire, riempire di senso, la vita di ognuno di noi. Se considerassimo che nel nostro limite si trova l'espressione della vera grandezza dell'uomo non ci sarebbero più guerre, non ci sarebbero più inimicizie. Ci sarebbero soltanto relazioni belle, cura dell'altro, vita nella sofferenza, ma aperta alla gioia”.

La celebrazione eucaristica è stata tradotta da un'interprete nella lingua dei segni per i non udenti presenti alla Santa Messa che è stata anche trasmessa in diretta televisiva e social.

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