Se il primo pareggio stagionale a Cerignola era stato una lezione assimilata come si deve, quello di domenica ad Avellino può e deve trasformarsi in un insegnamento ancora più grande. Mai come con la sfida del “Partenio-Lombardi” il Catanzaro ha sprecato l’occasione per lanciare il segnale più forte alle concorrenti. Non tanto perché con un successo avrebbe mantenuto i tre punti di vantaggio sul Crotone e i cinque sul Pescara, ora distanti rispettivamente solo una e tre lunghezze. Quanto, soprattutto, perché battere gli irpini a casa loro, dopo un primo tempo da squadra di categoria superiore, avrebbe assunto un significato ben più importante della vittoria in sé. Invece all’intervallo è come se si fosse spenta la luce e la rimonta che ne è seguita è stata prodotta da un netto predominio altrui sul piano del gioco, come non era mai accaduto prima. Merito degli avversari? Anche, ma non solo. Troppa sicurezza nelle Aquile? Può darsi. La partita, alla fine, si poteva pure vincere, ma l’errore di Iemmello dal dischetto cambia sostanzialmente poco nell’analisi generale della prestazione. Di sicuro non inciderà sul morale dell’attaccante catanzarese, che ha già dimostrato più volte di saper rapidamente reagire a uno sbaglio: già a Monopoli, andata dei quarti playoff, aveva fallito una massima punizione, però si era fatto perdonare in men che non si dica con una doppietta nella ripresa. «Mi dispiace da morire, ma questo è il calcio. Ci vediamo domenica», ha scritto su Instagram dopo la gara il numero 9, già proiettato (come tutti i tifosi) al derby col Crotone in programma domenica. Le massime punizioni sono un capitolo a parte: per due anni il Catanzaro ha segnato tutti i penalty a favore (con Carlini infallibile cecchino), ma da aprile a oggi ne ha sbagliati tre su quattro, uno con Sounas a Foggia (sulla ribattuta ci fu comunque il tap in vincente di Gatti), altri due con Iemmello, che ha trasformato solo quello di sabato scorso contro la Juve Stabia, il primo assegnato in campionato. Forse Vivarini dovrà lavorarci un po’ su per evitare che il problema continui e si trasformi in una sindrome. Quanto alla conduzione dell’incontro di Avellino, sono state evidenti le due facce. Fino all’intervallo il Catanzaro ha giocato al tiro al bersaglio (cinque conclusioni in porta, undici totali, i dati sono tutti di Wyscout) senza subirne neanche una nel proprio specchio, non si è concentrato troppo sul possesso (48%), ma con un pressing che ha consentito di recuperare palloni a ripetizione in zone medio-alte del campo (32 su 51), ha affettato l’avversario con i tagli, in particolare, di Sounas, Biasci e Iemmello. Tutto il contrario nella ripresa: un solo tiro fra i pali (il rigore), meno palloni recuperati nelle zone medio-alte (18 su 44) che non sono stati bilanciati da un aumento del possesso (sceso, al contrario, al 37%); la squadra ha subito la pressione dell’Avellino, che ha raddoppiato il volume delle conclusioni (nove) e capitalizzato al massimo le uniche due che hanno centrato i pali. Come ha detto Vivarini il pari è giusto. È giusto anche mangiarsi le mani, ma senza fare drammi.