Una relazione extraconiugale con la donna di un esponente del clan sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quella che ha indotto i vertici della cosca Bonavota di Sant’Onofrio a ordinare l’eliminazione di Domenico Belsito, 34 anni, ferito a morte la sera del 18 aprile 2004 in via Nazionale a Pizzo e deceduto a distanza di due settimane all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia a causa delle gravi ferite riportate. Un’esecuzione “necessaria”, secondo quanto accertato dagli inquirenti, perché nelle famiglie di ’ndrangheta violare il codice dell’onore è un “reato” che si paga col sangue. Ma in questo caso l’ordine di uccidere non sarebbe stato poi così sofferto perché da un po’ di tempo Domenico Belsito, anche lui originario di Sant’Onofrio, cresciuto alla “scuola” della potente cosca, aveva preso le distanze dai Bonavota, per unirsi a Domenico Di Leo (conosciuto in paese come Micu i ‘Catalanu) anche lui ucciso diciassette anni fa nell’ambito di quel piano di egemonia territoriale che la consorteria di Sant’Onofrio portava avanti ormai da anni puntando a mettere le mani definitivamente sui villaggi turistici di Pizzo e sull’area industriale di Maierato. Per il delitto di Belsito la Procura distrettuale antimafia di Catanzaro ha chiesto e ottenuto sei misure cautelari in carcere nei confronti dei vertici della cosca di Sant’Onofrio. Si tratta dei fratelli Bonavota: Nicola, di 45 anni; Domenico, di 42 (catturato la scorsa estate dopo quasi due anni di latitanza); e Pasquale, 47enne, ritenuto uno dei più pericolosi latitanti ancora in circolazione. Su di lui, infatti, pendono ben quattro ordini di arresto sempre ad opera della Distrettuale. Misure cautelari, sempre nell'ambito della stessa operazione riguardante l’omicidio di Domenico Belsito sono stati notificati in carcere a Onofrio Barbieri, 42 anni, e a Francesco Salvatore Fortuna, 42 anni, entrambi di Sant’Onofrio. In carcere per lo stesso delitto pure Salvatore Mantella, 47 anni, di Vibo, cugino del pentito Andrea Mantella. A mettere i magistrati ed i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Vibo sulla pista giusta sono state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia che, a distanza di diciassette anni, ha permesso agli inquirenti di arrivare a chiudere il cerchio su mandanti ed esecutori materiali di quel delitto. I dettagli di tutta l’operazione sono stati riferiti ieri mattina nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso il Comando carabinieri di Vibo dove erano presenti il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, il colonnello Bruno Capece, comandante provinciale dei carabinieri, ed i capitani Alessandro Pauri e Alessandro Bui. Il delitto, secondo la pubblica accusa, rappresentava la conclusione di uno scambio di favori tra la cosca Bonavota, alla quale apparteneva la vittima prima di svincolarsi definitivamente, e il clan emergente guidato da Andrea Mantella. Proprio quel killer incallito e sanguinario che è stato Mantella aveva chiesto la gambizzazione, poi avvenuta la sera dell’8 marzo del 2004, di Antonio Franzè. Fatti di sangue che avevano sancito un nuovo patto criminale tra Mantella e i Bonavota.