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L'autobomba di Limbadi e l'omicidio Vinci, ergastolo alla Mancuso e a Barbara

Dieci  anni di carcere (20 la richiesta del pm ) sono stati invece inflitti a  Domenico Di Grillo, 73 anni, marito della Mancuso (avv. Capria e avv. Gianfranco Giunta), mentre  3 anni e 6 mesi di reclusione è stata la pena emessa in primo grado per Lucia Di Grillo, di 31 anni

Ergastolo per i presunti ideatori e condanne per complessivi 13 anni e 6 mesi  nei confronti degli altri imputati. Si chiude davanti alla Corte d'Assise di Catanzaro (presidente Bravin)  un primo doloroso capitolo su quell’autobomba che il 9 aprile del 2018 in località “Macrea” di Limbadi dilaniò e uccise Matteo Vinci, biologo di 44 anni e ferì gravemente il padre Francesco.
In particolare  Rosaria Mancuso, 66 anni di Limbadi (sorella di alcuni boss dell’omonima cosca) e il  genero Vito Barbara, di 30 sono stati condannati all'ergastolo.
Nei confronti dei due imputati – la prima difesa dall'avv. Francesco Capria e dall’avv. Mario Santambrogio, il secondo dall'avv. Giovanni Vecchio e dall’avv. Fabrizio Costarella – che vengono ritenuti «ideatori e promotori del delitto» in concorso con altri soggetti, il pm distrettuale Andrea Mancuso aveva chiesto la condanna all'ergastolo.
Dieci  anni di carcere (20 la richiesta del pm ) sono stati invece inflitti a  Domenico Di Grillo, 73 anni, marito della Mancuso (avv. Capria e avv. Gianfranco Giunta), mentre  3 anni e 6 mesi di reclusione è stata la pena emessa in primo grado per Lucia Di Grillo, di 31 anni (avv. Vecchio e avv. Stefania Rania) – figlia di Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo e moglie di Barbara – la quale risponde solo dell'imputazione relativa alle armi.
Rosaria Mancuso e Vito Barbara sono stati condannati per l'omicidio di Matteo Vinci e il tentato omicidio del padre, ma sono stati assolti per il reato di estorsione ai danni dei Vinci. Assolti per l'estorsione anche Domenico e Lucia Di Grillo, quest'ultima libera.
Gli imputati, tutti rimasti coinvolti nell’operazione “Demetra” di Dda e carabinieri sono accusati, a vario titolo, di omicidio, tentato omicidio, entrambi aggravati dalla premeditazione, dai motivi abietti e futili, detenzione e porto illegale di esplosivo, lesioni personali, armi e tentata estorsione, reati tutti aggravati dalle modalità mafiose. Inoltre Barbara, la Mancuso e il marito rispondevano anche del  tentato omicidio di Francesco Vinci colpito ripetutamente con un’ascia e un forcone, nell’ottobre dell’anno precedente all’autobomba, fatta esplodere con un congegno radio-comandato.
Un attentato in stile ’ndranghetista-terroristico quello del 9 aprile 2018 preceduto non soltanto dall’aggressione dell’ottobre del 2017, ma da un’altra al Vinci e alla moglie Rosaria nel marzo del 2014. Una vera e propria strategia del terrore finalizzata – secondo gli inquirenti – a costringere i due coniugi a cedere il terreno in località Macrea. Strategia che, in base a quanto messo nero su bianco dal pm, avrebbe visto artefici i componenti della famiglia Di Grillo-Mancuso, i quali si sarebbero fatti forti della loro parentela con esponenti di primo piano della cosca di Limbadi.
Parti civili nel processo Francesco Vinci e la moglie Rosaria Scarpulla, genitori di Matteo, rappresentati dall’avv. Giuseppe De Pace.  Nei confronti dei coniugi Vinci la Corte d'Assise ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura.
Intanto nell’ottobre del 2020, attraverso l’operazione “Demetra 2” Dda e carabinieri chiudevano il cerchio sui presunti autori materiali dell’attentato dietro al quale si sarebbe mosso un fiorente traffico di sostanze stupefacenti lungo l’asse Limbadi-Soriano. E secondo l’accusa gli indagati avrebbero fatto esplodere l’autobomba per azzerare un debito di droga contratto con Barbara.

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