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Il materassino come un altare fa discutere. La Curia di Crotone puntualizza

Ha fatto discutere, sui mezzi di comunicazione, la Messa celebrata in mare, su un materassino gonfiabile e in costume da bagno, da un gruppo parrocchiale proveniente da Milano.  E' successo ieri quando don Mattia Bernasconi, vicario della pastorale per i giovani della parrocchia di San Luigi Gonzaga di Milano, ha celebrato messa in località Alfieri, una delle spiagge più belle del crotonese. Un omaggio alla Calabria quello di don Mattia e dei ragazzi della sua parrocchia che si trovavano a Crotone per partecipare a un campo della legalità di Libera. Nell’ultimo giorno di permanenza, il gruppo ha deciso di stare in spiaggia. Essendo domenica si doveva anche celebrare messa: «Avevamo scelto la pineta di un campeggio - spiega don Mattia - ma era occupata.

La nota della Curia di Crotone

Dal resoconto offerto dalla stampa si coglie tutta la bellezza e la serietà dell’esperienza vissuta da questi giovani, che hanno scelto il nostro territorio per impegnarsi in un campo di volontariato e interrogarsi sul tema della legalità. Una scelta da apprezzare e per cui essere grati. Questi giovani hanno arricchito con la loro presenza la nostra terra e hanno vissuto un momento di crescita che inciderà anche nei luoghi della loro vita quotidiana.

Prendendo spunto da questo episodio, però, è necessario ricordare che la celebrazione eucaristica e, in generale, la celebrazione dei sacramenti possiede un suo linguaggio particolare, fatto di gesti e simboli che, da parte dei cristiani e particolarmente dei ministri ordinati, è giusto rispettare e valorizzare, senza rinunciarvi con troppa superficialità.

In alcuni casi particolari, in occasione di ritiri, campi scuola, nei luoghi di vacanza è anche possibile celebrare la Messa fuori dalla chiesa. Bisogna sempre, però, prendere contatti con i responsabili ecclesiali del luogo dove ci si trova, per consigliarsi sul modo più opportuno di realizzare una celebrazione eucaristica di questo genere. Soprattutto è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche.

“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”: così ha promesso Gesù (Vangelo secondo Matteo, cap. 18). Certo, ogni luogo e ogni circostanza sono adatti per parlare di lui, per testimoniare la gioia di essere suoi discepoli e condividerla con chi incontriamo. Noi umani, però, siamo “esseri simbolici”: il corpo, l’abito, gli oggetti che usiamo sono veicoli di comunicazione. La Liturgia è il momento in cui s’impiegano i simboli semplici ma eloquenti elaborati in tanti secoli di vita delle comunità cristiane per rendere accessibile un’esperienza: l’incontro con Gesù Risorto e il “noi” ecclesiale. Ecco perché è richiesta per la celebrazione anche una certa forma. È evidente che curare soltanto la forma non assicura l’autenticità di un gesto liturgico. Tuttavia, non si tratta di una dimensione da trascurare. Lasciamo la parola al nostra Papa Francesco, che ci spiega perfettamente questi aspetti della vita liturgica:

“La continua riscoperta della bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale. Ovviamente questa affermazione non vuole in nessun modo approvare l’atteggiamento opposto che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico. Intendiamoci: ogni aspetto del celebrare va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto, musica, …) e ogni rubrica deve essere osservata: basterebbe questa attenzione per evitare di derubare l’assemblea di ciò che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce. Ma anche se la qualità e la norma dell’azione celebrativa fossero garantite, ciò non sarebbe sufficiente per rendere piena la nostra partecipazione. Se venisse a mancare lo stupore per il mistero pasquale che si rende presente nella concretezza dei segni sacramentali, potremmo davvero rischiare di essere impermeabili all’oceano di grazia che inonda ogni celebrazione. […] Lo stupore è parte essenziale dell’atto liturgico perché è l’atteggiamento di chi sa di trovarsi di fronte alla peculiarità dei gesti simbolici; è la meraviglia di chi sperimenta la forza del simbolo, che non consiste nel rimandare ad un concetto astratto ma nel contenere ed esprimere nella sua concretezza ciò che significa” (Francesco, Lettera apostolica “Desiderio desideravi”, 29.06.2022).

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