Orari estenuanti e salari bassi; contratti part-time sulla carta e a tempo pieno nella realtà; reddito di cittadinanza che, unito a un lavoretto in nero, frutta un mensile più alto; stagionalità che disincentiva le occupazioni annuali. Fino a qualche anno fa si poteva contare sugli stranieri residenti in Italia per sopperire alla carenza di manodopera locale. Ora è sfumata anche questa possibilità.
«Avevo una lavapiatti rumena – racconta Domenico Lo Bianco, titolare di una nota trattoria cittadina – ma dopo quindici anni, grazie al reddito di cittadinanza, si è licenziata ed è ritornata al suo paese d’origine. È venuta in estate solo per le vacanze». Rimpiazzarla per il ristoratore è stato un terno al lotto. Infatti solo dopo parecchi mesi è riuscito ad assumere un’altra persona, sempre straniera.
Per quanto riguarda i ragazzi ad incidere «è soprattutto il fatto che hanno poca volontà di imparare – aggiunge Lo Bianco –. Ormai non sono abituati al sacrificio». Anche se sono diverse le cause che spingono giovani e meno giovani a non accettare di lavorare nel settore della ristorazione e dell’accoglienza. Se ne parla da tempo, ma poi tutti fanno orecchie da mercante. Invece, secondo gli imprenditori locali, è il momento di fare qualcosa per invertire il senso di marcia.
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