La disperazione di una mamma che ha perso la sua bambina e continua a ripetere il suo nome, l'orrore per ciò che hanno vissuto ed il senso di colpa per essere sopravvissuti. Sono vite spezzate per sempre, e non solo dalla morte, quelle raccontate da suor Loredana Pisani, direttrice Migrantes della Diocesi di Crotone-Santa Severina, in prima linea nell’assistenza (e non solo) dei sopravvisuti al naufragio di Cutro. «Non è semplice raccogliere le loro parole - spiega - ma quasi tutti ripetono continuamente il nome dei parenti che cercano. Perché a bordo di quella barca c'erano intere famiglie. C'è una donna che ha perso sua figlia, e non si può immaginare tanta disperazione. Un'altra ragazza che cercava i bambini, i parenti. Un bambino a fine mattinata siamo riusciti a ricongiungerlo alla famiglia con l'aiuto della polizia, perché era in ospedale ma non era ancora stato identificato. Negli occhi di questa gente si vede non solo l'orrore della situazione che hanno vissuto, ma anche quasi la colpa per essere sopravvissuti ai loro cari».
Lo choc per l'accaduto, la lingua così diversa, rendono difficile comunicare. «Ci hanno raccontato il dramma che hanno vissuto, la barca che si è spezzata; qualcuno ha detto anche che alcune persone sono state gettate in mare. Quelle ricoverate in ospedale hanno riportato tutte ferite da taglio, graffi ovunque. Ci sono cinque bambini piccoli: alcuni di loro sono stati protetti ed hanno pochi segno, ma altri stanno peggio. C'è un bimbo coperto di graffi dalla testa ai piedi. E poi un ragazzo di 17 anni circa: non è in pericolo di vita, ma sta messo male».
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