Tra i riti tradizionali che hanno contraddistinto la Pasqua quest'anno sono tornati, dopo due anni di fermo a causa della pandemia, i falò del Venerdì Santo a Capistrano. Grande è stata infatti la gioia dei fedeli che hanno, finalmente, potuto riprendere la secolare tradizione di accendere nella sera di Venerdì Santo i due falò che affondano le loro radici a quando l’apostolo Pietro, avendo seguito, di nascosto e assieme ad altro apostolo, Gesù che era stato arrestato e portato dal sommo sacerdote Caifa, negò, accanto al fuoco acceso dai servi e dalle guardie nel cortile di Caifa (dove con la scusa di riscaldarsi si era accostato per tentare di apprendere notizie sulla sorte di Gesù), di conoscere Gesù per la terza volta prima che il gallo cantasse. Per come lo stesso Gesù, ore prima, durante l’ultima cena, gli aveva predetto. Subito pentitosi, Pietro uscì fuori e pianse amaramente.Inoltre da Venerdì Santo tutti i fedeli, e non solo, hanno la gioia di ammirare nella chiesa madre il quadro ad olio su tela, cm.200 x cm 400, che, raffigurante l’Ultima Cena di Gesù (con la quale fu istituita l’eucarestia o comunione), è stato realizzato, su ordinazione del parroco don Antonio Calafati, particolarmente attivo ed amante dell’arte, dal maestro Carmelo Corso di Filandari, all’uopo anche presente. Il quadro è stato fatto posizionare Don Calafati alla parete della cantoria sovrastante il portone centrale d’ingresso, sul cui lato sinistro (per chi entra) vi è l’affresco del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano (1881), attribuito al grande Pierre Auguste Renoir. Originariamente il falò era uno solo, quello che da tempo immemorabile fu acceso nello spazio limitrofo alla chiesa madre (avanzi ‘a chiesi), poi, negli anni Sessanta trasferito nell’attigua piazzetta di Cristoforo Colombo, sul lato sinistro della Chiesa. Ad esso si aggiunse, negli anni 1930, pare ad iniziativa di mastro Mariano Lo Moro ed altri, il falò nella zona alta dell’abitato “arriedi u’ muru” , oggi Piazza C. Colombo. I due falò entrarono subito in competizione quasi agonistica, poi ai fini estetici e quantitativi. L’appartenenza dei cittadini all’uno o all’altro falò è contraddistinta in relazione alle abitazioni poste a valle (“jiusu”) od a monte (“susu”) della Via Dante Alighieri, traversa interna della strada provinciale n.47, che attraversa il centro abitato da nord a sud, dividendolo quasi in due parti uguali. I falò sono costituiti da grossi tronchi e da ceppi con le radici ancora attaccate, in modo da far rimanere il fuoco acceso almeno fino a domenica di Pasqua. Originariamente i tronchi di albero venivano fatti rotolare a forza di braccia e di apposite leve, ma da circa cinquanta anni, dopo la costrizione della viabilità rurale, vengono anche con trattori. I tronchi vengono scostatati a mo’ di carboniera, con al vertice una crode di legno. Come da tradizione, l’accensione dei falò è avvenuta nel momento in cui il parroco- predicatore ha terminato le riflessioni, sempre emotive ed interessanti, sulla passione e, quindi sul significato e valore degli ultimi due giorni di vita di Gesù (ultima cena, arresto, passione e morte di Gesù),e la contestuale consegna alla statua di Maria Addolorata di Gesù morto, una statuina appena schiodata da una piccola Croce di legno, al rullio particolarmente cadenzato e triste del tamburo, generando commozione fra i fedeli . La funzione liturgica termina con la processione dei fedeli che, cantando il “miserere” e pregando e seguendo una grande croce di legno passano accanto ai falò, da poco accesi per fare ritorno in Chiesa dopo avere sostato al Calvario. A mezzanotte di venerdì si è anche rinnovata la tradizione della penitenziale della “visita alle Croci”, con il tragitto identico alla predetta processione con la Croce, che i fedeli, in gruppi o da soli, compiono senza proferire parola. In caso qualcuno dovesse proferire anche una sola parola o ridere, deve ritornare in chiesa e ripartire per la visita. I falò ardono per giorni, tanto che nella notte di Sabato Santo, il parroco inizia la Veglia Pasquale con la benedizione del “fuoco nuovo” del falò, dove accende il grande Cero Pasquale con il quale entra in Chiesa, che al suo canto “Luce del Mondo” si illumina a giorno, mentre le campane riprendono a suonare a festa per annunciare che Cristo è risorto. Una simbologia di straordinaria importanza e commozione sia perché i falò non vengono visti come folclore, ma solo ammirati e vissuti sempre, di generazione in generazione, con profonda di fede, perché il fuoco è il simbolo del sacrificio di Cristo e del potere di Dio che nella notte tra Sabato santo e domenica di Pasqua prende possesso dell’altare e di ciò che su di esso si celebra durante l’intero anno liturgico.